Una volta se un uomo importante veniva offeso nel suo onore non subiva l’affronto e poteva arrivare a sfidare a duello colui che l’aveva offeso. Una volta chi veniva nominato ad un incarico di responsabilità ma non era o non si sentiva adeguato ad un tale compito, per onestà ringraziava e declinava l’invito. Una volta chi era ai vertici di un’istituzione e commetteva errori decisivi, presentava le proprie dimissioni. Se i suoi errori comportavano la morte di alcuni cittadini, il responsabile precipitava nella vergogna e nell’oblio e talvolta giungeva perfino al suicidio.
Nel passato, pur di non tradire, si affrontavano mesi, se non anni, di prigionia. Talvolta non tradire un’idea, un amico, la patria, portava diretti al plotone d’esecuzione. Interi popoli mandavano in guerra le proprie generazioni migliori pur di salvaguardare il futuro della nazione. Si combatteva, sapendo di poter morire, per preservare le proprie case, le fabbriche, il patrimonio monumentale del proprio paese, indipendentemente se questo fosse stato dalla parte della ragione o del torto: “right or wrong, my country”, dicevano gli inglesi.
Se un popolo o una parte di esso era conscio di subire vessazioni da un tiranno, scendeva in piazza ed innalzava le barricate, sacrificando anche la vita. Pur di non sottomettersi al nemico si combatteva fino all’ultimo uomo nelle steppe gelate di Nikolajewka o nei deserti assolati di El Alamein. Tutto ciò perché un popolo aveva un’anima ed una storia.
Ogni giorno, ad ogni ora, se giriamo per le strade d’Italia, dal più piccolo paese alla realtà delle nostre metropoli, le vie e le piazze e i monumenti ci richiamano a questi insegnamenti. Possiamo ammirare statue, cippi, lapidi, che onorano i caduti della Grande Guerra, i ragazzi del ’99, e della Seconda Guerra Mondiale.
Possiamo passare tra vie intitolate ad Amatore Sciesa, che invitato fino all’ultimo a fare i nomi dei suoi amici rispose “Tiremm innanz”, per accelerare la strada verso il patibolo. Dante Alighieri per le sue idee affrontò l’esilio, Ciro Menotti considerato tra i primi patrioti fu impiccato e Garibaldi volle dare ad un figlio il suo nome. Goffredo Mameli, l’autore del nostro inno, morì a ventun anni di cancrena ad una gamba ; aveva combattuto anche nelle 5 giornate di Milano.
Ai traditori non è mai stato concesso un riconoscimento in qualsiasi contesto storico: il maresciallo Badoglio, per quanto funzionale alla caduta del fascismo, ha ottenuto soltanto l’affiancamento del suo nome al paese di Grazzano, dove è nato, nel Monferrato. Per altro il verbo “to Badogliate” è entrato nel lessico della lingua inglese nel dopoguerra a significare il tradimento facile.
Purtroppo non vedremo alcun monumento dedicato ai trecento medici morti nel sacrificio della guerra al coronavirus, perché questo non è tempo per gli eroi. Ci può solo confortare l’idea che nemmeno vedremo, nei prossimi decenni, vie o piazze intitolate a Conte, Di Maio, Polverini, Scilipoti, Rocco Casalino o Ciampolillo. E di Nencini ricorderemo solo il grande ciclista Gastone, vincitore di un Giro e di un Tour de France negli anni 50.