Mentre le schegge della destra politica si agitano, con risultati tutt’altro che entusiasmanti, alla ricerca di visibilità e peso politico seguendo per lo più vecchi schemi ed obiettivi di piccolo cabotaggio, il mondo della destra culturale non è mai stato tanto vivace e prolifico come in questo periodo.
Regolarmente ignorato dalla destra politica, che in una patologica coazione all’errore riproduce vecchi schemi e pessime abitudini che già furono del vecchio MSI (per non parlare dei comitati di affari di AN e PDL), non pervenuto il pachiderma addormentato della Fondazione, che pure avrebbe il compito istituzionale di diffondere la cultura di destra, il mondo della destra culturale con energie proprie, spirito di iniziativa e grande entusiasmo è ricchissimo di idee e proposte.
L’idea che mai come oggi – con una sinistra impotente, in crisi e al minimo della credibilità – l’egemonia culturale possa essere contendibile ha affascinato e risvegliato energie nascoste.
Assistiamo così ad una inaspettata e felice fioritura di riviste, blog e case editrici impegnate, pur tra mille difficoltà e scarsissime sinergie (altro vecchio vizio), in progetti culturali interessanti e di grande valore.
Basti pensare, e sono solo pochi esempi tra i molti possibili, al successo di Ferrogallico, proposta originale e di forte impatto, alle importanti ricostruzioni della storia della destra politica che nell’arco di pochi mesi hanno visto uscire “Destra senza Veli” di Adalberto Baldoni (fergen); “FUAN” di Alessandro Amorese (Eclettica); “L’aquila e la Fiamma” di Nazzareno Mollicone (i Libri del Borghese), oltre a “Fascisti dopo Mussolini” il numero speciale di “Storia in Rete”(l’ottima rivista storica di Fabio Andriola) interamente dedicato alla storia del MSI coordinato da Marco Valle ed uscito lo scorso febbraio.
Ed a proposito di riviste è proprio di questi giorni la notizia del lancio della versione cartacea di “Primato Nazionale”, un’idea ardita ed in totale controtendenza che conferma la vitalità del mondo della destra culturale.
All’appello di questo risveglio non poteva mancare la musica alternativa, forse il fenomeno più originale scaturito dall’agitato crogiolo degli anni ’70.
Nata come forma di ribellione e protesta creativa contro un clima politico e culturale conformista ed opprimente, strumento espressivo per eccellenza di una intera generazione, la musica alternativa di destra, venuta alla luce negli anni di piombo, trovò la sua definitiva consacrazione nella saga dei Campi Hobbit, dove la leva politica dei giovani rautiani del FdG (“oggi una canzone serve più di 100 comizi”, diceva Pino Rauti) ne fece la colonna sonora del proprio impegno e della lotta, durissima, di quegli anni.
(Qualche reduce di quella stagione, oggi comodamente attovagliato nei salotti di sinistra, racconta che si trattava solo di giovani con la chitarra che imitavano i raduni hippy dell’epoca senza nessuna valenza politica, ma sono, ovviamente, solo stupidaggini strumentali).
Dai gruppi storici degli anni ‘70, Gli Amici del Vento, Compagnia dell’Anello, Janus, i cantautori Michele di Fiò, Massimo Morsello e Fabrizio Marzi, fino quelli nati in epoche successive e differenti – 270 bis, Hobbit, Zetazeroalfa, Skoll – la musica alternativa è sempre rimasta un punto di riferimento costante per generazioni di militanti.
A molti anni di distanza ritorna ora, con nuove idee e nuove energie, Fabio Costantinescu, già protagonista con i fratelli Venturino e la sorella Cristina della grande stagione degli Amici del Vento, da lui definiti “da sempre e per sempre nostro baluardo ed esempio”.
L’incontro di Fabio Costantinescu, con la bassista-avvocato Silvia Preda e con Eugenio Pasquinucci, autore di alcuni dei nuovi testi, ha dato vita a “Nel Cuore d’Europa”, un nuovo CD in uscita in questi giorni che verrà ufficialmente presentato sabato 21 ottobre a Piacenza in un concerto al quale parteciperanno anche Antica Tradizione, Topi neri e Hobbit e che sarà seguito da un tour del quale sono già state fissate alcune date.
Va detto subito che non si tratta di un’operazione-nostalgia ma di una realizzazione originale che vuole essere un ponte tra passato e presente, un collegamento tra un patrimonio di valori senza tempo e la realtà attuale.
Un obiettivo che due canzoni speculari scritte da Costantinescu rendono esplicito.
Canzone per Ieri:
“Ho cominciato a suonare
In un’altra era geologica…
…e da allora la mia vita è completamente diversa
[…]
Ricordi che il vento e il tempo riportano qui
E agitano una fiamma
Che nel cuore non morirà mai”
e
Canzone per oggi:
“Questa è una canzone per oggi, Questa è una canzone per noi
In bilico sull’asse di equilibrio del nostro futuro
Il mondo come lo conoscevamo non lo riconosciamo quasi più
Dobbiamo essere pronti per questa nuovissima realtà”.
La chiave di lettura dell’album svela anche le ragioni della scelta dei brani che lo compongono: innanzitutto il doveroso omaggio agli Amici del Vento con Ritorno, qui cantato da Cristina Costantinescu, e quello alle radici più remote di Camerata Richard, vecchia canzone di guerra riscoperta e riarrangiata per l’occasione.
Quindi i nuovi pezzi scritti appositamente per questo lavoro, in bilico tra temi attuali e suggestioni di sempre.
L’Europa e l’Italia di oggi, ad esempio, per le quali Costantinescu nel brano che da il titolo all’album non si perde certo in giri di parole; le guerre contemporanee e l’esportazione della democrazia (Che Peccato); il tema dell’identità nazionale e locale (Padano e Italiano); l’introspettivo Il Vincitore.
E ancora: “Canto Notturno dei San Patricios”, scritta da Eugenio Pasquinucci e ispirata dai cattolici Irlandesi che nella guerra del 1846 abbandonarono l’esercito USA formando il Batallón de San Patricio per difendere il Messico dall’invasione americana; “La Canzone del Comandante”, anche questa scritta da Pasquinucci per ricordare il sacrificio dei soldati Italiani abbandonati al loro destino in Montenegro dopo l’8 settembre; l’Argentina di Juan Domingo Peron di “Fiore di Ceiba”, con testo di Gianluca Passera; la tragedia dell’esodo istriano di “Ricordo Ancora” e “Folgore” dedicata all’eroismo dei parà.
E non è tutto, ma non è il momento di svelare il brano (parole di Pasquinucci e musica di Costantinescu) più sorprendente ed originale dell’album.
La formazione chitarra-basso-batteria (la stessa dei Cream…) pratica una musica molto accurata dagli arrangiamenti aggiornati e gradevoli, con ammiccamenti al blues e ad altri generi contigui, nella quale il vecchio sound degli anni ’70 riaffiora qua e là come una citazione o una sensazione.
Merita una nota particolare la grafica ispirata alle sculture di Gustav Vigeland (1869-1943), il geniale e visionario scultore norvegese le cui opere – sculture, bassorilievi, forme in ferro battuto – popolano il Parco delle Sculture di Oslo, da lui stesso ideato, un’esposizione unica al mondo che attira ogni anno più di un milione di visitatori.
Non è una scelta casuale: l’estetica espressionista di Vigeland è molto vicina a quella del coevo Novecento Italiano (siamo negli anni ’30) tanto da procurargli l’accusa di simpatia per il “nazifascismo” e addirittura di collaborazionismo per avere espresso ammirazione per la cultura e la disciplina tedesche.
Una scoperta interessante, uno dei molti meriti di questo lavoro frutto di idee, energie ed elaborazioni efficaci ed originali.
Qualcosa di cui la destra di oggi, superficiale, dispersa e disorientata, ha molto bisogno.