Fuochi di protesta emergono nella metropoli napoletana, sono gli abitanti dell’Acerrano, la folla che manifesta a Bagnoli, gli irriducibili addetti al sito di Pompei. Propongono alternative di governo? Agitano lo spettro della rivoluzione? O sono i reazionari del Terzo Millennio? Si dirà che i fenomeni antagonisti – dai movimenti globali Occupy agli italiani NoTav – sono da tempo moneta corrente. Qui, tuttavia, essi appaiono come scarnificati, ridotti all’osso delle proprie contraddizioni, privi anche di quell’aura utopica che sempre avvolge le tensioni rivoluzionarie. Il che deriva dall’abisso esistente fra gli obiettivi della «lotta» e le condizioni del contesto. A cosa si oppongono infatti gli episodi di conflittualità esplosi ultimamente a Napoli? A una soluzione del problema dei rifiuti. Alla messa a profitto dell’area di Bagnoli. Allo sviluppo del turismo di massa. Alla costruzione di centrali elettriche. Alle trivellazioni in Campania. Ovvero a ogni ipotesi di accrescimento della ricchezza locale. Che nel frattempo il contesto viva una crisi strutturale gravissima sembra questione lontana. Gli antagonisti ignorano la città che si sbriciola al primo acquazzone e le periferie dominate dalla camorra. Appaiono disinteressati agli effetti occupazionali dell’edilizia, allo smaltimento delle ecoballe, alla ricostruzione dell’ambiente. Mischiano presunti interessi locali con parole d’ordine anticapitalistiche, antitecnologiche, antimoderne. Sono cioè, in senso stretto, reazionari.
Tutto questo richiama un nodo storico. In Italia, il conflitto sociale ha avuto caratteri controversi. Ha consolidato e legittimato la democrazia, con le battaglie otto-novecentesche per i contratti agrari, il lavoro di fabbrica, i diritti civili, eccetera. Ma ha anche pascolato, più che in paesi come l’Inghilterra o la Germania, all’ombra di partiti e sindacati nazionali che non di rado ne manipolavano programmi e interessi. E visto che si trattava di partiti massimalisti o comunque all’opposizione, come il Psi primo-novecentesco o il Pci, il conflitto sociale è stato ambiguo nei confronti dei processi di trasformazione, del rapporto tra sviluppo e uguaglianza, del nesso tra Stato e mercato. È apparso, non di rado, conservatore. Incapace di stare al passo coi tempi.
Oggi, dato il collasso di partiti e sindacati, il conflitto non ne succhia più gli umori conservatori. Ma l’esito è assai dubbio: quegli umori conservatori stanno diventando umori reazionari. Il cuore dell’antagonismo è ormai il rifiuto di ciò che una volta si sarebbe chiamato progresso. La rivendicazione di uno status quo , che a Napoli significa degrado urbano, periferie miserabili, criminalità. Il no radicale all’analisi dei problemi e alla ricerca di soluzioni. Invece che battersi per la trasformazione della polis , il conflitto mostra di averne paura. Preferisce che nulla si faccia. Un’opzione che rasenta il nichilismo.
Paolo Macry, Il Corriere del Mezzogiorno, 10 novembre 2014