Sabato scorso cedo al mio abituale perbenismo e accompagno un’amica all’Ikea di Corsico, per un piccolo reclamo su della merce acquistata. In effetti non potremmo muoverci, perché ci spostiamo da un Comune ad un altro, ma rischiamo, al limite cercheremo di addurre la scusa che siamo rimasti al freddo e necessitiamo di una stufetta d’emergenza, in attesa di riparare un ipotetico guasto al riscaldamento centrale. Naturalmente tutte queste scuse non serviranno a niente perché il tragitto fino a Corsico è privo di ostacoli.
All’interno del grande padiglione scopriamo che pullula di gente, famigliole intere, miriadi di coppie di fidanzati ed eserciti di single popolano l’immenso spazio dell’ipermercato di mobili. All’ingresso la misurazione della temperatura, giusto per dare un tocco di osservanza di legalità, è l’unico presidio alla prevenzione del contagio. Mentre lei si reca all’ufficio reclami, io rimango in attesa in piedi, nell’immenso corridoio; osservando le centinaia di persone, tutte con mascherina, che spingono carrelli ricolmi di pezzi di mobilia infagottati nei cartoni, mi chiedo quanti cenoni di Natale, quante messe della vigilia si potrebbero fare arruolando questi disparati gruppetti di umani. E’ evidente che i corsichesi rappresentino un’infinitesima percentuale della clientela e che nessuno o quasi sia alla ricerca di una stufetta. E’ lapalissiano che tutti siano fuorilegge, e che tutti se ne strafottano dei diktat governativi.
D’altra parte in questi ultimi giorni non faccio altro che sentire di amici e conoscenti che organizzano la cena o il pranzo di Natale con i propri congiunti, previo tampone negativo, siano essi di primo, secondo o terzo grado, dello stesso comune o di qualche altro limitrofo. Avverto che fra la gente sta serpeggiando una tendenza alla disobbedienza civile, che si mantiene nelle norme di prudenza e sicurezza ma si discosta da tutto ciò che è fuori dalla logica e dal buonsenso.
Quando il governatore della Lombardia avverte che il giorno 20 dicembre dalla regione avverrà un esodo verso il sud Italia che intaserà stazioni e aeroporti, non fa che scoprire l’acqua calda. Intanto i medici di Milano riceveranno l’ultima tranche di vaccini il 15 dicembre e saranno costretti a vaccinare centinaia di persone in quattro- cinque giorni, alla faccia del pericolo di assembramento.
E mentre le istituzioni si contraddicono ogni giorno, il popolo si chiede perché la messa alle 22 sia più sicura di quella di mezzanotte; perché i fratelli siano più contagiosi dei figli e meno dei nipoti; perché sciare a Sankt Moritz o a Kitzbuhel sia salutare mentre a Cortina o Madesimo pericoloso per il contagio.
Ma ciò che infastidisce più di tutto sono gli appelli e le prese di posizione di chi sostiene le misure governative con uno zelo eccessivo e sospetto, fuori dal giusto intento di limitare il contagio, ma inteso a ribadire un controllo orwelliano sulla popolazione.
Quando in un talk show di sinistra osservanza, su La 7, una suora ammette che in fondo è meglio soprassedere al Natale perché la salute è il bene supremo, e ci può anche stare, ma poi completa il ragionamento affermando che “vorrà dire che quando terminerà l’emergenza faremo una nuova festa, la festa dell’Incontro”, non ci siamo proprio. Il messaggio che uno porta a casa è che il Natale è una festa come un’altra, che potremmo inserire tra la festa dei nonni e quella di san Valentino, con i bambini che andranno di casa in casa a chiedere “dolcetto o scherzetto ?”.
Dove è finita la sacralità del Natale, il suo fascino, il suo mistero ? Come si può pensare di sostituirla con una qualsiasi festa, dell’ ”Incontro “ poi. Già si entra in chiesa e non c’è più l’acqua santa ma il gel germicida, con sottinteso: “ma tu credevi veramente che quell’acqua fosse benedetta, ma in che mondo vivi?” La Chiesa appare ormai “zerbinata” al Pensiero Unico mondiale e non è che il Pontefice non ci metta del suo.
Avvilente è la polemica scatenata da alcuni zeloti filo governativi che pur di sostenere che è giusto chiudere le piste da sci solo in Italia, danno degli untori a tutti gli appassionati di questo sport, quasi che da loro e solo da loro dipendesse il contagio da coronavirus; che è indotto invece, è bene che si sappia, da mia esperienza in prima linea, dalle scuole, i mezzi pubblici, gli uffici e gli ospedali. Tale Selvaggia Lucarelli si augura “che gli sciatori, con 700 morti al giorno, meriterebbero di finire un paio di minuti sotto la neve, venuta giù da una grondaia molto grande.” Lo zanzarologo Crisanti aggiunge che “non è un paese normale quello in cui si parla di sci con 600 morti al giorno.”
Criminalizzare gli sciatori spostando il problema dal rischio di fallimento di migliaia di alberghi, negozi, ristoranti, impianti di risalita, al vezzo di praticare uno sport per puro divertimento è fuorviante e disonesto. La discussione è sacrosanta, il problema è serio ma le soluzioni vanno ponderate, insultare chi vive di turismo invernale è squallido ed ingiusto.
Basterebbe far dipendere il rilascio dello skypass all’effettuazione di un tampone senza demonizzare nessuno.
Ma le soluzioni logiche e di buonsenso non appartengono a questo governo, la credibilità crolla e la disobbedienza serpeggia fra la gente.