Ringrazio l’ottimo Fragalà per aver assolto il compito che gli è stato assegnato, rispondendo al mio post.
Tuttavia, italianizzando un detto dialettale, mi corre obbligo di dire che “la toppa sia stata peggio del buco”.
Perché nelle mie parole non c’era – volutamente – alcun riferimento al Secolo d’Italia; e Fragalà dovrebbe conoscermi a sufficienza per sapere che se ho qualcosa da addebitare a qualcuno, non mi ci rivolgo per perifrasi. Come quando, ancora nel 2001, denunciai pubblicamente – in un convegno di Destra protagonista ad Arezzo – l’inutilità dell’esistenza del Secolo d’Italia e la necessità di chiuderlo subito, per limitare la dispersione di risorse cui la sua esistenza ci condannava, peggio di una tassa di Visco o di Monti.
Ma visto che Girolamo mi porge l’assist, dirò che ci mancherebbe ancora che almeno il Secolo, pur nella sua carbonara diffusione, non scrivesse del ventennale di Alleanza Nazionale.
Non è un titolo di merito, è solo una piccola parte del dovere di una testata che esiste per giustificare i contributi figurativi di politici che si sono garantiti una rete di salvataggio nel caso – passato, presente e futuro – in cui il ruolo istituzionale venisse meno. E speriamo che, nella ventata di antipolitica, non si accendano i riflettori sul costo che i giornali di partito hanno comportato per le finanze pubbliche. Qualcuno avrebbe difficoltà ed imbarazzo, a spiegare.
Ma ciò che meno mi convince, nella risposta del vice direttore del nostro giornale, è il tentativo rabberciato di giustificare l’inanità della Fondazione, essa sì oggetto dei miei strali.
Perché se il Secolo se la può cavare con qualche intervista da mettere in rete, alla Fondazione spettava il DOVERE di celebrare l’evento con almeno una immediata manifestazione di rilievo nazionale, con la presenza di protagonisti, critici, storici ed avversari; con la possibilità di discutere degli errori commessi e delle possibilità di ridare una veste al pensiero di destra nell’Italia della terza repubblica.
La Fondazione ha quello scopo, e non altri; e dispone della gestione di un cospicuo patrimonio per fare quello, non per remunerare consulenti legali et similia.
Invece nulla di nulla, e certamente le colpe non sono di Fragalà.
Ma di chi pensa che sia meglio tener tutto sotto sordina per il rischio che qualcosa possa rinascere, magari fuori dal controllo di chi analoga attenzione al rischio avrebbe dovuto mostrarla quando l’idolatrato comandante del nostro vascello dimostrò – con largo anticipo – di indirizzare la prua verso gli scogli. Ma il coraggio, si dice, se non c’è non ce lo si può dare, e tutti sappiamo com’è finita.
Mi resta, lasciatemela, la speranza che qualche centinaio di “soldati semplici”, di umili mozzi capiscano che in un assemblea in cui ogni testa conta un voto, la loro comune volontà prevarrebbe su quella di cinque colonnelli e una ventina di commodori.
Da ultimo, all’amico Girolamo, cui ricambio con sincero affetto le espressioni di stima ed amicizia, voglio dire che certamente troverà il suo pezzo su Destra.it
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Marco Tarchi/ La destra italiana e il complesso di Mosé
Marco Tarchi, politologo, è professore alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze. Per lungo tempo impegnato attivamente a destra,...
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