Norma Cossetto, ventitreenne studentessa di Lettere e Filosofia all’Università di Padova, il 26 settembre del 1943 venne prelevata dalla propria casa dai partigiani comunisti di Tito e rinchiusa nella ex caserma della Guardia di Finanza di Parenzo. Dopo due giorni, fu trasportata di notte nella scuola di Antignana. Qui, crocifissa ad un tavolo, fu violentata da diciassette aguzzini. Infine , nuda, pugnalatele le mammelle e , per ultimo sfregio, seviziata con un puntale di legno, venne gettata nella foiba di Villa Surani, con le mani legate dietro la schiena da un fil di ferro.
Giuseppe Cossetto, padre di Norma e podestà del luogo, insieme all’amico Mario Bellini, si precipitò alla ricerca della figlia. Entrambi caddero in un agguato e vennero infoibati.
La salma di Norma Cossetto venne recuperata il 10 dicembre del 43 dagli uomini del maresciallo Harzarich, comandante dei vigili del fuoco di Pola, quando i tedeschi, cacciati temporaneamente i titini, tornarono ad occupare quelle terre. Furono questi, quaranta giorni terribili in cui avvennero i primi infoibamenti.
La seconda tornata accadde a guerra finita, nel 1945 e coinvolse Trieste, Fiume, Pola, Spalato, Zara, insieme a deportazioni, annegamenti, fucilazioni, mentre in altre parti d’Italia si festeggiava la liberazione.
Paline silenziate per anni. Ma in queste settimane un regista coraggioso come Antonello Bellucco sta preparando un film — “Rosso Istria” — sull’assassinio di Norma e la tragedia del confine orientale. Un lavoro importante da sostenere ed aiutare. Vale perciò la pena riproporre il bel libro di Luciano Garibaldi, giornalista e storico, e Rossana Mondoni, insegnante e ricercatrice. I due autori, partendo dalla figura e dalla emblematica, tragica vicenda di Norma Cossetto, ricostruiscono quegli anni attraverso le testimonianze di chi li visse in prima persona , arricchendo il racconto di particolari inediti o poco conosciuti.
Il 30 marzo del 2004 venne approvata la legge che istituì la Giornata del Ricordo, relatore il parlamentare di AN Roberto Menia, che su incarico di Ignazio La Russa, stilò il testo che stabilì che ogni 10 febbraio venisse celebrato il martiro e l’esodo delle genti fiumane, giuliane e dalmate dalle proprie terre.
La sinistra, che con Rifondazione Comunista non approvò la legge, si è sempre defilata da questa ricorrenza, con le lodevoli eccezioni di Violante, Fassino e pochi altri.
La tesi comunista, come giustificazione, da sempre sostiene che i partigiani gettarono nelle foibe solo i fascisti, come vendetta per i soprusi da essi compiuti negli anni del ventennio.
Ma perché un uomo, per il solo fatto di essere fascista, dovrebbe meritare una fine così atroce?
Così la sinistra legittima quel macabro slogan sessantottino “ uccidere un fascista non è reato”.
In realtà il libro spiega benissimo cosa accadde : i partigiani titini eliminarono per ogni villaggio il podestà, il comandante dei carabinieri, gli insegnanti, il medico condotto ed il farmacista, il direttore dell’ufficio postale e perfino il postino, ovvero tutti i punti di riferimento di una piccola comunità. Il più delle volte queste persone ricoprivano anche incarichi ufficiali nel partito fascista, ma non necessariamente.
La vera logica è la stessa che poi ritroveremo nei Kmehr rossi in Cambogia, l’eliminazione delle teste pensanti per instaurare un nuovo ordine sociale di stampo comunista.
La co-autrice, la professoressa Rossana Mondoni, è al tempo stesso figlia di un deportato di Mauthausen e madrina di figli di vittime della pulizia etnica titina. La Mondoni giustamente sostiene che gli Ebrei, gli antifascisti di ogni colore, gli Italiani dei confini orientali , sia che credettero nel fascismo o che semplicemente si opposero al marxismo titino, tutti quanti furono vittime “politiche” dei due maggiori totalitarismi del ventesimo secolo : nazismo e comunismo.
Oggi occorre una “memoria condivisa”, perché le vittime di crimini di tale portata, da qualsiasi parte provengano e di qualsiasi colore siano, richiedono cordoglio.
L’appello della professoressa Mondoni non è ancora stato pienamente raccolto ma qualche spiraglio si intravede qua e là.
Nel febbraio 2006 Licia, la sorella di Norma Cossetto, accompagnata dal senatore Franco Servello, venne ricevuta a Palazzo Madama per il conferimento di una medaglia d’oro al valor civile. Quando il Presidente Marcello Pera annunciò la sua presenza in tribuna, tutti i senatori si alzarono in piedi ad applaudirla.
“E’ una delle giornate più belle della mia vita politica.” Commentò il senatore Servello.
Nel libro di Garibaldi e Mondoni ci sono molti episodi simbolici e poco conosciuti.
Nella preziosa testimonianza di Ottavio Missoni viene ricordata la città di Zara che fu sottoposta a ben 54 durissimi bombardamenti dagli aerei anglo-americani ; oltre l’85% degli edifici fu distrutto o danneggiato; 4000 cittadini vi lasciarono la vita, i superstiti fuggirono, prendendo parte all’esodo.
Lo scrittore Enzo Bettiza definì giustamente Zara la piccola Dresda dell’Adriatico.
Maria Pasquinelli, patriota triestina, ricorda il maggiore De Gregori, partigiano cristiano, zio del cantautore, ucciso alla malga Porzus dai partigiani rossi.
Tragica la fine di Adriano Visconti, fratello del noto regista Luchino, aviatore della RSI , ucciso al momento della resa, con una raffica alla schiena il 29 aprile 45 nel cortile della caserma Savoia Cavalleria a Milano, da un partigiano russo, indicato come guardia del corpo del comandante Iso, ovvero Aldo Aniasi. Secondo Giampaolo Pansa” non c’è nulla che faccia ritenere Aniasi coinvolto in quel crimine.”
I profughi italiani vennero accolti in Italia in modo indecoroso. A Venezia il feretro di Nazario Sauro fu preso a sputi, a Bologna un treno della Croce Rossa, carico di esuli con anziani e bambini che reclamavano acqua e un po’ di latte , non fu fatto fermare.
Mentre i nostri esuli faticavano ad inserirsi , il ministro Andreotti fece addirittura avere la pensione italiana agli infoibatori.
Nel nostro Pantheon immaginario di uomini di destra , la figura di Norma Cossetto campeggia come il simbolo del martirio e del sacrificio degli esuli istriani ; con lei persone, uomini e donne, che hanno saputo incarnare quei valori di coerenza e libertà che indicano il cammino nella nostra vita. Nella soffitta della sinistra oggi c’è Gino Paoli, la madre era giuliano-dalmata ed ebbe alcuni suoi parenti uccisi dai partigiani slavi «I partigiani titini, appoggiati dai partigiani comunisti italiani, vennero a prenderli di notte: un colpo alla nuca, poi giù nelle foibe. Mia madre e mia zia non hanno mai perdonato . Mi ricordavano spesso i nomi dei loro cari spariti in quel modo, senza lasciare dietro di sé un corpo, una tomba, una memoria. Peggio una memoria negata.» ( da un’intervista a Gino Paoli di Aldo Cazzullo.)
Il cantautore fece fortuna nella rossa Genova, divenne parlamentare del Pci, guadagnò, in nero, molti soldi alle feste dell’Unità. Trasferì parte delle sue meritate fortune in Svizzera , per sfuggire al fisco e, chissà, forse ad un ipotetico avvento del comunismo in Italia. Cari compagni, questo è un vostro mito. Cosa dire ? Tenetevelo.
Luciano Garibaldi e Rossana Mondoni
NEL NOME DI NORMA
Edizioni Solfanelli, Chieti 2011
Ppgg. 152, euro 12.00