I terroristici hanno attaccato l’Egitto. Con determinazione e visione strategica. Ormai nel Sinai è guerra aperta. La grande battaglia è iniziata nelle prime ore del mattino, quando la prima ondata — un centinaio di ‘takfiri’ (estremisti islamici) — ha sferrato una serie di assalti contro posti di blocco tra le località di el Arish e Sheikh Zuweid, radendone al suolo tre. Micidiale la dinamica. Con lanci di granate, razzi, mortai, autobombe e assalti kamikaze i jihadisti hanno sgominato il sottile (troppo sottile per reggere: polizia, doganieri e qualche reparto isolato) schieramento egiziano. Poi il fronte si è spostato a Sheikh Zuweid dove i terroristi della seconda ondata hanno improvvisato persino una marcia trionfale per le strade issando la bandiera nera del Califfato. Nelle stesse ore, mentre i PR delle milizie rivendicavano sulla rete gli attacchi contro l’esercito “apostata”, le forze armate cairote iniziavano a bombardare l’area con F16 ed elicotteri Apache.
A fine giornata la situazione è in evoluzione, con un bilancio delle vittime e dei feriti ancora incerto. L’Egitto “è in stato di guerra”, ha annunciato nel pomeriggio il premier Ibrahim Mahlab ed in serata il governo ha approvato un piano d’emergenza annunciando una mobilitazione parziale dell’esercito.
Le prime avvisaglie di tempesta erano arrivati (non a caso) da Israele che aveva rafforzato pesantemente le misure di sicurezza lungo la frontiera con l’Egitto, chiudendo alcuni valichi. “L’Isis è vicino al nostro confine”, ha affermato ieri il premier Benyamin Netanyahu. Una dichiarazione pesante, poichè il governo di Gerusalemme — nelle sue logiche tortuose e ambigue — ha sempre ignorato ufficialmente la minaccia fondamentalista e più volte — dato da ricordare e non sottovalutare — ha appoggiato (in modo discreto ma efficace e micidiale) l’insurrezione islamista sunnita contro il regime laico (e filo iraniano…) di Damasco.
Di certo, la battaglia nel Sinai segna una delle pagine più nere nella storia dell’Egitto. L’allarme nel Paese è altissimo, in particolare nelle aree sensibili, dal Canale di Suez fino al Cairo, dove un cordone di sicurezza è stato creato di fronte alla Corte Costituzionale. Meno di 48 ore fa, in pieno Ramadan, in un attentato terroristico al Cairo è rimasto ucciso il procuratore generale Hisham Barakat. Ieri sera tre persone hanno perso la vita dopo che una bomba era esplosa non lontano da un posto di polizia.
Intanto l’Occidente si ricorda finalmente del Medio Oriente e le cancellerie europee mandano telegrammi di solidarietà al Cairo (persino l’inutile Gentiloni sembra essersi risvegliato dal suo torpore). Ma l’Egitto in guerra contro il terrore nel Sinai (e in Libia) attende armi e finanziamenti. Prima che sia troppo tardi.