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A dire il vero, sono rimasto colpito dal tono perentorio del discorso con il quale il Presidente Mattarella ha posto fine ai tentativi di riformare una maggioranza di governo “politica”, inciampati maldestramente tra trattative e veti incrociati di quella pseudo coalizione che aveva sostenuto il Conte bis. Certamente non è mancato il consueto garbo istituzionale, ma ciò non ha reso più edulcorate le parole forti con le quali, oltre a sancire la fine di un’esperienza, sembra che il presidente abbia inteso affermare la fine di una fase storica: la sensazione è stata quella di una sorta di “commissariamento” delle forze politiche e delle loro rappresentanze parlamentari.
Quel passaggio così categorico nel quale Mattarella fa appello a tutte le forze presenti in parlamento “perché conferiscano la fiducia ad un Governo di alto profilo che non debba identificarsi ad alcuna formula politica”, contiene allo stesso tempo un auspicio, in linea con il riconoscimento di una situazione eccezionale, ma anche un giudizio spietato e lapidario. Il senso sembra essere proprio: il momento è delicatissimo, e a voi che non siete in grado di affrontare la presente situazione, non resta altra possibilità se non quella di appoggiare un Governo “di alto profilo” (a differenza del vostro), senza pretendere di metterci dentro ministri indicati da voi, che sarebbero certamente inadeguati.
Probabilmente all’invito presidenziale si può dare anche una lettura meno cruda, ma il senso non cambierebbe poi tanto. Con uno stile d’altri tempi il Presidente ha detto (tra l’altro con l’eleganza di non fare nomi) adesso toglietevi di mezzo e fate governare il Paese a chi è capace. Non dovrebbe meravigliare troppo quindi la reazione quasi sdegnata di alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle (che hanno affidatoesternazioni, a metà tra l’isterico ed il melodrammatico, ai propri canali social), se non fosse che il Movimento del quale fanno parte, in questi anni ha concorso con abnegazione ad una costante delegittimazione del ruolo della politica in genere, e della classe parlamentare in modo particolare. La loro compagine (e purtroppo non in solitario) è arrivata al punto di sostenere che fosse opportuno ridurre il numero di senatori e deputati, inutile casta di previlegiati, per risparmiare qualche lira.
Certo per chi sia sinceramente convinto che la politica costituisca il vertice di una ideale scala di valori in quanto momento dinamico della comunità popolare, realizzazione organica della volontà di uomini accomunati da un’idea, ci vorrebbe una convinta adesione alla teoria del “caso eccezionale”(unita a ad una cieca fiducia nel “dictator” incaricato), per mandar giù la rinuncia ad un“primato della politica” che si sarebbe a buon diritto preteso di esercitare. Se invece si è arrivati a Roma in forza di un dichiarato sentimento antipolitico (sulla base di un programma dichiarato avente come obiettivo massimo l’apertura di“scatolette di tonno”), se si è contestata la funzione stessa delle organizzazioni partitiche in nome di una pretesa intercambiabilità tra “gente comune” e ceto politico, non si capisce bene perché oggi ci si scandalizza tanto quando gli eventi rendono possibile, o forse anche necessario, escludere la politica dalle scelte: che senso ha oggi invocare la necessità di un governo politico, quando si è predicato per anni un finto pragmatismo efficientista che superasse (secondo loro) schemi teorici ed inutili ritualità del passato?
Da altri lidi si è gridato allo scandalo perché il Colle ha sbarrato la strada all’ipotesi di portare il Paese alle urne, eventualità questa ritenuta, dalle parti del Quirinale, inopportuna, pericolosa ed impraticabile dato il momento storico. Coloro che insorgono contro questa tesi non dicono una cosa in linea di principio sbagliata: è evidente che si tratta di una teoria (quella di impossibilità di elezioni in periodi difficili) che aprirebbe la strada a pericolosi precedenti; in caso (Dio non voglia) che il prossimo anno ad esempio dovesse saltar fuori un nuovo virus, e poi un altro ancora, cosa si farebbe? Non si voterebbepiù?
La liquidazione della democrazia per via pandemica non è certamente auspicabile. Se questo è vero da una parte, è però altrettanto vero dall’altra che, in una democrazia parlamentare, non è che si può invocare lo scioglimento anticipato delle camere in forza dei sondaggi, o perché dalle elezioni non è venuta fuori una maggioranza parlamentare autosufficiente che corrisponda ad una coalizione politica; una politica che vuole contare qualcosa, che si dice matura per governare il Paese, non può sottrarsi a qualunque responsabilità a colpi di slogan.
Certo c’è il sussulto ideologico che, giustamente, fa storcere il naso rispetto all’idea di un governo guidato da un tecnocrate proveniente dal mondo finanziario, e c’è lo scetticismo legato al ricordo nefasto di precedenti disastrosi “governi tecnici”; tutte posizioni legittime, ma si sarebbe dovuta, in qualche modo,proporre un’alternativa praticabile: bisognava in pratica “fare la politica” (invece di continuare con il ritornello inutile della richiesta delle elezioni) se si voleva incidere sulle scelte in qualche modo. Personalmente non ho alcuna simpatia per i “governi tecnici”, ed ancora di meno per quelli guidati da espressioni del mondo finanziario; credo anzi che, a chi ha avuto o ha ruoli di rilievo nel mondo della finanza o comunque in organizzazioni portatrici di interessi transnazionali,non andrebbero conferiti, in linea generale, incarichi apicali di governo, e confido fermamente nel fatto che il primato della politica sia la sola strada per la salvaguardia dell’interesse collettivo.
Premesso questo, non ritengo si possa non rilevare che ormai da anni in Italia la “Politica”ha completamente abdicato al proprio ruolo, determinando un grave difetto di sovranità, completamente annichilita come è dalle burocrazie, dalla stampa, daimaîtres à penserdella cultura di massa. Rispetto aduna aggressione feroce e continuata, la politica, invece di reagire, ha addirittura collaborato alla propria uccisone collettiva, votando leggi che rendevano il potere politico ancora più vulnerabile (rinuncia all’immunità parlamentare, legge Severino, riduzione dei parlamentari etc.), ed assecondandospesso e volentieri la vulgata antipolitica. Se nemmeno dinanzi alle clamorose rivelazioni di Palamara nessun esponente politico ha ritenuto doveroso porre il problema del necessario riequilibrio tra l’elemento burocratico e quello rappresentativo dello Stato, se i leader delle forze politiche rifuggono sistematicamente qualunque assunzione di responsabilità per paura di alterare il proprio gradimento nei sondaggi, se ormai i politici si sono ridotti ad essere una sorta di mendicanti delle briciole che cadono dalla tavola del “potere vero”, rinunciando completamente alla direzione del Paese, ma per quale ragione Mattarella oggi non avrebbe dovuto dare l’incarico di formare il governoad una figura di “alto profilo”, conosciuta e rispettata dagli ambienti che contano veramente?
E’chiaro, i governi dovrebbero essere espressione delle forze politiche parlamentari, ed è veramente desolante, imbarazzante, deprimente, che si arrivi a sostenere che un “governo dei migliori” sia per definizione un governo nel quale non ci siano esponenti provenienti dai partiti politici;ma l’alternativa quale dovrebbe essere? Chi si sarebbe dovuto ergere ad estremo baluardo del popolo sovrano? Forse la compagine del governo uscente, quella che fino all’altro ieri additava come irresponsabile e scandalosa l’idea di aprire una crisi in un momento di eccezionale gravità come quello presente, salvo poi dichiarare che rispetto all’eventualità di un esecutivo diverso sarebbe meglio tornare al voto? O forse quelli che vivono all’opposizione, col terrore di assumere qualsiasi responsabilità politica, temendo di perdere qualche like dalla propria pagina social?
Perciò è inutile stare qui ora a fare questioni teoriche; la politica italiana, vuoi per codardia, vuoi per cialtroneria, vuoi per mancanza di letture o semplicemente per ignavia, non è più in grado di assolvere al proprio ruolo; restasse quindi in un angolino, si garantisse qualche stipendiuccio e qualche incarico, mentre quelli bravi “di alto profilo” affrontano le emergenze, assurgendo al ruolo di “classe politica”.