Parola d’ordine: continuità. Rilanciata con insistenza su giornali, radio e TV la parola “continuità” è da qualche tempo il mantra della politica nazionale, presagio di quanto accadde due mandati presidenziali orsono quando Giorgio Napolitano, primo nella storia, succedette a sé stesso.
Una prospettiva, il Mattarella bis, che sembra a tanti l’ovvia conseguenza del clima euforico che si respira nel Paese, tra i trionfi sportivi agli Europei di calcio e alle ultime Olimpiadi e un clima di rilancio economico che genera grande ottimismo. Al netto di un eventuale colpo di scena, al momento la situazione prevede che Sergio Mattarella lasci il Quirinale il prossimo 6 gennaio, in lieve anticipo rispetto alla scadenza esatta del mandato il 3 febbraio per agevolare l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, ipotesi da lui stesso caldeggiata in diverse occasioni,in pubblico come in privato.
Eppure, a dispetto dei desiderata dell’attuale inquilino del Colle, in questi giorni va in scena un pressing sempre più incalzante sul capo dello Stato per smuoverlo da questo intendimento e convincerlo a riaccettare l’incarico almeno fino alle elezioni politiche del 2023.
Per molti sarebbe la condizione necessaria per garantire continuità all’azione del governo Draghi e dare una sponda istituzionale all’azione di rilancio economico produttivo, di riforma della giustizia e di lotta alla pandemia. Un magic moment che sembra, almeno per il momento, mettere la sordina alle velleità dei partiti in vista della prossima tornata elettorale con il minaccioso aleggiare all’orizzonte dell’ipotesi, pur se al momento irrealistica, delle dimissioni irrevocabili del Presidente Mattarella per accelerare l’elezione del nuovo Presidente e il successivo ricorso alle elezioni anticipate.
Ma chi davvero oggi vuole le urne?
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