Si doveva parlare di sport e pugilato alla Wellness Town di Roma che ha accolto la presentazione del nuovo libro del campionissimo istriano Nino Benvenuti (scritto a quattro mani con Mauro Grimaldi) “L’isola che non c’è”, edito da Eraclea Edizioni Sportive . In platea un folto pubblico, il gotha del giornalismo sportivo, Rai Sport ed altre emittenti. Ma di box si è parlato poco, pochissimo. Partendo dall’esperienza di Nino, la conferenza stampa si è incardinata — con gran stupore di molti — sull’esodo giuliano-dalmata. Uno choc. I giornalisti sono rimasti sbalorditi ascoltando Benvenuti e la sua storia, ammettendo — guarda caso…. — la loro mancanza di conoscenza dell’argomento.
Nell’intervista a Rai Sport, Benvenuti ha sottolineato il significato della dedica del libro alla madre, morta a soli 46 anni. «Fu lei che più di altri soffrì il distacco dalla sua casa. Dalla sua piccola patria. L’esodo fu una sofferenza tremenda per un intero popolo». Un momento forte. Intenso. «Avrei volentieri barattato tutte le mie vittorie nel pugilato per rimanere a casa, ad Isola d’Istria». Una dichiarazione d’amore, viscerale per la sua terra. La sua gente. E poi, senza alcun imbarazzo, Nino ha ricordato la adolescenza difficile a Trieste (la fame, i campi profughi, l’indifferenza dei più) e la sua breve ma brillante esperienza negli anni Sessanta come consigliere comunale a Trieste per il Movimento Sociale — era un dovere per la mia gente, il MSI non ci ha mai traditi…—. Con un sorriso, il suo sorriso, ha però riconosciuto d’essere stato un esule fortunato. «Il pugilato, i pugni furono la mia fortuna..».
Ad una domanda (abbastanza inutile…) di una giornalista che chiedeva al campione se vi erano similitudini tra la sua esperienza e quelli di tanti giovani che giungono in Italia oggi dai Paesi più poveri del mondo, Nino ha risposto seccamente che non vi era alcun collegamento perché lui è sempre stato italiano, nato in Italia e vissuto in Italia, per cui si è sempre sentito un esule in patria. In conclusione, Benvenuti ha ricordato uno degli episodi centrali della sua adolescenza. Nel 1946, ad Isola. L’Istria italiana era occupata dai comunisti jugoslavi ed ogni italiano era un sospetto, un nemico. Il fratello maggiore venne incarcerato a Capodistria come “nemico del popolo” (?). A Nino — il più giovane e sportivo della famiglia — toccava il compito di portare una minestra al detenuto. In bicicletta. Nel suo frenetico percorso, la pentola bollente gli ustionava le cosce. Ma lui continuava a pedalare. Senza sosta. Con rabbia. Un piccolo gesto quotidiano che gli è rimasto talmente impresso nella memoria da confidarci che ancor oggi sente ancora quel dolore lancinante addosso a sé. Sul confine orientale il passato non passa.
L’ Isola che non c’è: il mio Esodo dall’Istria
di Nino Benvenuti e Mauro Grimaldi,
Libreria Sportiva Eraclea, Roma 2013, pagg. 112.
La Venezia Giulia e l’Istria hanno espresso una storia in cui le glorie umane e civili non sono certamente inferiori a quelle politiche e militari. L’ambito sportivo non fa eccezione: Nino Benvenuti, Campione del mondo ed Oro olimpico, è una delle icone più significative, e di insostituibile popolarità nella memoria collettiva. Quindi, si deve salutare con compiacimento questo suo impegno editoriale, scritto a quattro mani con Mauro Grimaldi, nel lodevole intento di testimoniare un’esperienza irripetibile, anzitutto nella sua qualità di Esule.
Questo libro, fatto di frasi brevi e concise, in perfetto stile tacitiano, si legge davvero d’un fiato, e si deve raccomandare, in primo luogo, a coloro che non sanno e soprattutto ai giovani. In un’epoca come la nostra, governata da un agnosticismo dilagante e da un triste relativismo materialista, è importante comprendere quanto abbiano potuto, nel caso esemplare di Nino, la forza trainante della volontà, uno stile di vita aperto e leale, ed il confronto vincente del “vir bonus” contro la “mala fortuna”.
In effetti, l’opera di Benvenuti può definirsi la storia di un grande Uomo di sport, ma nello stesso tempo, di un grande Esule.
Fedele anche in questo all’imperativo di Tacito, Nino professa “incorrotta fedeltà al vero” e racconta con indomita partecipazione, ma nello stesso tempo “senza odio”, le dolorose traversie della sua famiglia e le sorti ben peggiori di tanti suoi concittadini e conterranei, Vittime innocenti del terrorismo comunista programmato dai partigiani di Tito in quel disegno di pulizia etnica che sarebbe stato ammesso senza mezzi termini dagli stessi Kardelj e Gilas.
La sola eccezione al verbo tacitiano si coglie nella continua professione d’amore per la sua terra, la sua gente e la sua famiglia, che pervade tutta l’opera di Benvenuti. Un amore, peraltro, che scaturisce dal profondo del cuore e riesce a coesistere con una valutazione oggettiva, e si direbbe, storiograficamente matura, di quanto accadde. Ciò, in maniera conforme allo spirito cristiano che è tradizionale prerogativa del popolo istriano.
Non a caso, tra i ricordi più emblematici di Nino c’è quello del suo primo viaggio a Roma e della sua prima vittoria significativa nel Campionato Amatori, quando, in adesione ad un invito della mamma, si recò nella Basilica di San Pietro per accendere una candela in segno di ringraziamento, ma prima ancora, di fede.
Accanto al nobile ricordo costante per la terra nativa, ed in particolare per la “sua” Isola d’Istria, c’è quello, sempre vivo ed affettuoso, per i cari Genitori: due persone davvero speciali, che sperarono fino all’ultimo ed esodarono soltanto nel 1954, quando la Zona “B” venne sacrificata agli appetiti insaziabili della Jugoslavia ed all’appiattimento progressivo dell’Occidente. Sempre presente e commosso è il ricordo del fratello Eliano, imprigionato dai titini per lunghi mesi nel carcere di Capodistria, dove Nino gli portava quotidianamente il brodo “caldo” pedalando sulla sua bicicletta per tutto il percorso da Isola.
Un altro ricordo indelebile che vive nel cuore di Nino è quello dell’incredibile uccisione della sua cagnetta Bianca ad opera di una guardia rossa dell’Ozna, che non esitò a scaricare sulla povera bestia indifesa alcuni colpi di fucile, freddandola all’istante e compiacendosi del gesto. Eppure, Bianca non era “fascista”!
Nino, piangente, ebbe la sola possibilità di rifugiarsi nelle braccia della mamma: sarebbe stato pericoloso persino avvicinarsi.
Allora si viveva di Fede, di Affetti e null’altro.
Come dice un antico aforisma, Benvenuti è uno di quegli Uomini che, se non fossero esistiti, si sarebbe dovuto inventarli.
A più forte ragione oggi, perchè sono un esempio di vita per tutti; una lezione di sacrificio, ma nello stesso di una speranza fondata sulla consapevolezza di stare dalla parte del vero e del giusto.
Da buon pugile, Nino non lesina colpi: non già ai Griffith od ai Monzon, cui riserva, al contrario, parole di comprensione e di affetto, conformi ai comportamenti che ha sempre avuto nei rapporti con gli antichi avversari. Invece, gli strali più acuti e comprensibili sono quelli rivolti a chi si rese responsabile di un vero e proprio genocidio (come da lucida interpretazione storica del prof. Italo Gabrielli), ed a chi, in Italia, si fece sistematicamente a lungamente sordo al grido di dolore degli Esuli istriani, fiumani e dalmati.
Bisogna quindi ringraziare Nino Benvenuti che con questo nobile e sentito impegno editoriale porta un contributo, forse più importante di quello di molti storici o presunti tali, alla conoscenza di una grande tragedia, alla valutazione delle responsabilità, e naturalmente, all’auspicio di un mondo migliore.
carlo montani
http://www.youtube.com/watch?v=mKaGeyy9Xrw
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Fonti: ISSES – Convegno di studio del 28 gennaio 2001 – Napoli
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Un altro ricordo indelebile che vive nel cuore di Nino è quello dell’incredibile uccisione della sua cagnetta Bianca ad opera di una guardia rossa dell’Ozna, che non esitò a scaricare sulla povera bestia indifesa alcuni colpi di fucile, freddandola all’istante e compiacendosi del gesto. Eppure, Bianca non era “fascista”!
Nino, piangente, ebbe la sola possibilità di rifugiarsi nelle braccia della mamma: sarebbe stato pericoloso persino avvicinarsi.
pag. 30 del libro L’Isola che non c’è