A conclusione della campagna referendaria – tra Covid e solleone – la più strana di sempre, un dato appare certo: più “no” troveremo nelle urne, più chiara e squillante risulterà la richiesta di cambiamento. Non quello furfantesco e ingannevole dispensato a piene mani in questi anni di carnevale grillino, ma quello che si caricherà sulle spalle la consapevolezza della specificità della crisi italiana e della complessità delle soluzioni necessarie a superarla. È certezza, questa, che si ricava dai numeri a disposizione. La legge che gli italiani sono chiamati a respingere o a confermare è stata licenziata dal Parlamento con una maggioranza che un tempo si sarebbe detta “bulgara”: 97 per cento. Tutti d’accordo, eccezion fatta per una pattuglia di coraggiosi cui, se non altro, va riconosciuto il merito di aver preferito l’immancabile gogna dei social all’ipocrita “io speriamo che me la cavo” che ha certamente accompagnato la maggior parte degli onorevoli nel momento in cui consegnavano al boia la corda con la quale li avrebbe impiccati.
Le ragioni del “no”, l’inconsistenza del “sì”
A dispetto di quella percentuale, tuttavia, la campagna referendaria si è rivelata intensa ed avvincente. Fino a “costringere” i sondaggisti ad accreditare al “no” numeri ben diversi dalla singola cifra preventivata all’inizio. Segno che il vento sta cambiando. Merito di chi l’ha annusato rifiutandosi di arruolarsi sotto le insegne dell’opinione dominante. Merito, dunque, dei sostenitori del “no”, scesi nell’arena come vittime destinate a soccombere, ma presto rivelatisi duri a morire e capaci soprattutto di inchiodare i fautori del “sì” all’inconsistenza delle loro argomentazioni, tanto misere quanto fasulle: risparmio, assenteismo, meno-siamo-e-meglio-stiamo e via quisquiliando. Nulla, ma proprio nulla, che somigliasse ad una tesi, ad una soluzione o che aprisse il varco a scenari di riforme, se non probabili, almeno possibili. Niente. Tutto è scivolato via nel solco del grillismo, ormai – dobbiamo ammetterlo – culturalmente egemone nella politica italiana. Così come dobbiamo ammettere che la più “colonizzata” dalla neo-lingua Cinquestelle è proprio la destra sovranista. In tal senso, la spiegazione fornita da Giorgia Meloni a sostegno del suo “sì” vale più di un trattato di politologia: «Dobbiamo dare un segnale ai cittadini».
La destra grillizzata
Parole che consegnano l’immagine di brandelli di Costituzione lanciati in pasto ad un’opinione pubblica assetata di vendetta. Dalla destra, che è fazione per necessità e nazione per vocazione, era forse lecito attendersi qualcosa di più della versione 4.0 dell’antico panem et circenses. Alla destra non appartiene la logica del “segnale”, ma semmai quella di nation-building, la costruzione della comunità sui pilastri dell’identità culturale e della coesione sociale. Pensare che il bene dell’Italia e degli italiani passi per la riduzione delle poltrone è soprattutto un disastro culturale. Perché segnala la grillizzazione in atto di un’area politica che in ogni tempo non ha mai smesso di coltivare il progetto di un profondo ammodernamento della Costituzione. Come componenti dell’unico Comitato referendario nato nell’area del centrodestra, non ci siamo mai arresi a questo esito. Abbiamo persino strattonato i suoi leader esortandoli a rivedere la loro posizione. Inutilmente, purtroppo. E così chiediamo ai loro elettori di “disobbedire”.
Voti contati e voti pesati
Disponiamo di sufficiente realismo per ritenere possibile la vittoria del “no”, che comunque auspichiamo. Ma siano certi della sua affermazione. Perdere non ci spaventa perché alcune sconfitte sono in realtà solo vittorie differite. In questo senso, il “no” è come la Marcia dei 40mila di Torino. Dirigenti e capi-reparto Fiat che nel 1980 scesero in piazza per chiedere la riapertura dei cancelli. Nelle fabbriche occupate c’erano almeno 80mila tute blu. Esattamente il doppio dei “marciatori”. Ma furono questi ultimi, i meno numerosi, a scrivere il futuro. Oggi è possibile imprimere la stessa dinamica. I “sì” saranno verosimilmente più numerosi, ma chi sa leggere la politica sa bene che i “no” andranno anche pesati oltre che contati. Quanti più ne troveremo nelle urne, tanto più significherà che gli italiani stanno finalmente guarendo dal morbo grillino e che presto saranno pronti ad affrontare e a vincere le nuove sfide del tempo nuovo.
concordo, ho votato no (noi Italiani all’estero votiamo prima)
Ora lo volete capire perchè Meloni e Salvini (e lo stesso Zingaretti), pur non occupandosi molto del referendum, hanno fatto dichiarazioni ufficiali per il SI. E’ stato un plebiscito che in questo modo non è stato del tutto regalato ai 5 Stelle. Era impossibile vincere questo referendum, almeno non lo si è perso… i 5 Stelle lo vincono ma nel contempo sono distrutti alle elezioni regionali… magari il dibattito a destra lo si doveva fare sul perchè candidare Fitto e quello che rappresenta, la brutta copia di Mariotto Segni…