Uno dei termini più in voga, per definire l’insieme di comportamenti che porta gli accoglioni petalosi a giustificare e sostenere l’invasione migratoria, è ormai ‘buonismo’. Per quanto, evidentemente, diverso da bontà questo vocabolo richiama, però, sentimenti positivi in chi lo pratica.
Niente di più sbagliato, però.
Principalmente per quel che attiene le motivazioni ultime di questi comportamenti: tutti volti a una qualche forma di guadagno, il più delle volte anche puramente economico, ma non solo.
Esistono anche rendite immateriali cui si può attingere tramite l’esibizione di comportamenti ‘buonisti’, che favoriscono da tempo carriere e relative prebende, e aiutano soprattutto alla creazione di un’area di consenso (per quanto ormai relativo e sempre più minoritario) indispensabile per continuare nella complicità della strategia di sostituzione dei popoli europei tramite immigrazione incontrollata.
Una strategia dalle molteplici sfaccettature e dai numerosi obiettivi.
Trasferire giovani africani in maggioranza maschi e in età da lavoro verso l’Europa, infatti, oltre a portare in pochi anni al sicuro collasso del sistema salariale delle nazioni oggetto di immigrazione ha l’effetto di creare nei paesi d’origine una prossima crisi sociale con un impoverimento generale rendendone le fragili economie ancor più deboli, facili vittime del capitalismo predatorio interessato principalmente all’accaparramento di risorse naturali.
Che si tratti di una strategia pianificata e decisa da tempo da precise forze sovranazionali è ormai del tutto evidente.
Non si tratta di dietrologia, però, basta guardare il percorso ‘professionale’ della semisconosciuta Laura Boldrini, figura simbolo delle strategie immigrazioniste, premiata dal partitino di Niki Vendola con l’elezione in Parlamento nel 2013 e subito proposta come Terza carica dello Stato con la designazione a Presidente della Camera.
Personaggio davvero inqualificabile, proveniente direttamente dall’organismo ONU che da tempo gestisce le politiche migratorie a livello mondiale (per il quale ha lavorato dal 1998 al 2012), è stata scelta, con tutta evidenza, per interpretare il ruolo di affidabile complice dell’invasione.
Al solo scopo di distogliere l’attenzione dalla sua reale funzione si è anche prodotta in una serie di patetiche polemiche sulla creazione di nuovi neologismi con declinazione al femminile, primo tra tutti quello di ‘presidentA’ dedicato al suo ruolo, e per sostenere il quale ha pure sperperato decine di migliaia di euro dei contribuenti italiani – ai quali allo stesso tempo erano richiesti sacrifici ‘lacrime e sangue’ – per ristampare la carta intestata della Camera dei Deputati.
L’alto grado di rappresentatività di questo figuro (indeclinabile, che la ‘presidentA’ se ne faccia una ragione) è testimoniato dal fatto che il partitino (LEU) dove le scorie tossiche come lei e l’ex Presidente del Senato Piero Grasso si sono raccolte non ha neppure raggiunto il quorum minimo per essere rappresentato in Parlamento.
Una delle armi più collaudate dai criminali complici dell’invasione è del resto la disinformazione. Chi non ricorda, infatti, quanto affermato dal presidente INPS Tito Boeri (nominato dal PD e fratello di Stefano che fu coinvolto nell’aggressione con chiavi inglesi ad avversari politici con altri aderenti al Movimento Studentesco in piazza Cavour a Milano nel 1975 che costò la vita a Claudio Varalli) che sostiene la tesi palesemente falsa di come gli immigrati servano per pagare le pensioni degli italiani.
Come possano contribuire al sistema pensionistico bande di disperati pagati in nero pochi euro l’ora non è dato sapere, però è assolutamente chiaro che se ne giova chi approfitta del crollo del valore della mano d’opera.
Fortunatamente, nonostante siano stati spinti sull’orlo dell’abisso, gli italiani hanno però saputo rialzare la testa.
Complicità e interessi economici dei nemici interni, pressioni e ricatti di quelli esterni, non sono finora bastati a scalfire la volontà e la capacità di sopravvivenza degli italiani che infatti poggia su una tradizione millenaria e priva di ipocrisia.
Quando le legioni vittoriose di Roma marciavano verso nuove terre non promettevano di pagare le pensioni, non sostenevano di farlo per ragioni umanitarie ma garantivano – piaccia o meno – l’arrivo della civiltà, con l’imposizione del diritto romano ancor oggi preso ad esempio, e dell’ordine sociale alle tribù barbare.
Sicuramente non definivano sé stessi buoni, eppure erano molto più civili dei buonisti odierni, che fanno sfoggio di sentimenti positivi quando sono in realtà solo complici della strategia di sostituzione degli europei.
I cosiddetti buonisti vanno dunque chiamati semplicemente col loro nome: traditori.