L’imminenza del voto provoca una drammatizzazione del quadro e delle prospettive più presunta che reale. Ad esempio appaiono e risultano esagerati e inutilmente esasperati i commenti di Angelo Panebianco sulle somiglianze tra il 1948 ed oggi, 70 anni dopo, contenuti nella nota “Il voto e la storia. La posta in gioco per il Paese”. Il collega, infatti, arriva a pensare si possa giungere a qualche “aggiustamento” in senso autoritario, in caso di successo delle “robuste correnti di opinione ostili alla democrazia rappresentativa, correnti che vogliono imporre la “vera democrazia””, intesa non nella “salsa prevalentemente sovietico – comunista” di allora ma “in salsa prevalentemente populista – latinoamericana”. E’ immancabile, dopo queste analisi e questi pronostici, rispolverare la massima “si parva licet componere magnis”.
Sostanziali e profonde sono le differenze ed incredibili e infondati sono i timori, anche perché le figure in campo nel 2018 hanno spessori politici, esperienze di vita e preparazione programmatica, a dir poco scadenti e mortificanti. Un parallelo ed una contiguità tra Renzi e Togliatti, tra Berlusconi e De Gasperi per non parlare di modelli introvabili assimilabili a Di Maio o a Salvini ?
Checchè si possa sostenere in lavori editi negli scorsi mesi, il 1948 ebbe radici tutt’altro che sottovalutabili e non davvero frutto ed effetto di complotti nostrani.
Assai più centrato, concreto e quindi credibile è l’editoriale di Stefano Passigli . L’intera campagna elettorale gode la meritata e motivata etichetta di “fiera delle ipocrisie”, dal momento che “troppe sono le affermazioni dei nostri leader in cui palesemente essi stessi non credono, ma che non esitano a proporre agli elettori.
Paradossalmente le “promesse implicanti una spesa fuori controllo, incompatibile con il nostro debito pubblico e i nostri impegni europei” non rappresentano altro che una macroscopica sottovalutazione del livello intellettivo degli italiani e le mancette elargite alla vigilia del voto, dopo anni e anni di attesa e senza il minimo riconoscimento del pregresso non sono altro che una gigantesca turlupinatura.
Il cattedratico toscano ha poi cura di rivisitare i temi propagandistici messi in campo da Berlusconi e da Renzi in apparente e simulato dissidio.
E’ impossibile negare il marchio dell’inciucio al rifiuto opposto dall’autocrate anziano alla richiesta della Meloni di respingere ipotesi di governi con la “sinistra” , così come la candidatura di Tajani non è che “l’alibi” per imitare, con la benedizione degli Junker, il modello tedesco.
Il toscano tiene, dal canto suo, a ribadire “la legittimità” del sostegno ad “un governo di grande coalizione se necessario”, ampiamente accreditato dall’esito incerto delle urne.
Non è tenuta nel dovuto e necessario conto un’altra prova tangibile dell’intesa esistente, rappresentata dai “patti di desistenza” conclusi in collegi cruciali.
Passigli, dopo aver ripercorso le disposizioni normative, varate in assoluta sintonia ed unità di intenti, tra FI e renziani, non esita a ritenere il sistema “a forte rischio di incostituzionalità, che comunque deresponsabilizza gli elettori e incoraggia l’astensionismo”.
Si tratta di una valutazione, a voler essere chiari, condivisibile solo in apertura, perché più che di deresponsabilizzazione si dovrebbe parlare di espropriazione del diritto elettorale, e più di incoraggiamento di una ulteriore spinta alla posizione critica, già ricca di fondate e solide motivazioni.