In questi giorni tutta l’attenzione del turismo si è accentrata su Milano e sull’Expo. Il capoluogo lombardo con i suoi Navigli, il Castello Sforzesco , l’Ultima Cena, piazza della Scala, il Museo della Scienza e della Tecnica è ricco di testimonianze dell’ opera di Leonardo da Vinci, ma nessuno ha mai sfruttato questa prerogativa. Eppure in una logica di marketing, definire Milano la città di Leonardo offrirebbe nuovi elementi di curiosità per i turisti di tutto il mondo.
L’altro grande avvenimento della primavera di questo 2015 è l’ostensione della Sindone a Torino. L’origine del sacro lenzuolo di lino è avvolta ancora oggi nel mistero ed inquietanti sono le analogie con la tilma messicana , la veste con impressa l’immagine della Madonna di Guadalupe. E la figura di Leonardo si inserisce nella storia dei due paramenti , con suggestioni ed immancabili forzature, come piacerebbe ad un mediocre ma fortunato scrittore come Dan Brown.
La prima testimonianza storica della Sindone risale al 1353,ma la sua origine è sconosciuta. Un certo Goffredo, cavaliere medioevale, ne era entrato in possesso; egli dichiarava che si trattava del sacro lenzuolo che avvolse il corpo di Gesù, all’atto della sua sepoltura. Nel dicembre del 1532 la Sindone resiste ad un incendio nella cappella di Chambery, il reliquario d’argento in cui è conservata si fonde per il calore ed alcune gocce cadono sul lenzuolo che viene sì marginalmente danneggiato ma non prende fuoco.
Per molti anni la scienza si è accanita per comprendere il mistero di come si sia potuto disegnare quel corpo sul sacro telo, quale sia sua datazione, se effettivamente la figura impressa rappresenti il corpo di Cristo sepolto. Ricerche complesse hanno cercato di stabilire se alcune tracce contenessero la presenza di sangue ed i risultati sono stati controversi. Qualcuno ha chiamato in causa Leonardo, sostenendo addirittura che sia stato il genio toscano a tracciare quell’immagine che appare come un negativo di pellicola, perché egli faceva esperimenti che anticipavano la scoperta della fotografia . C’è chi parla dell’autoritratto di Leonardo stesso stampato sul sacro lino. In effetti , dopo tutte queste illazioni, dopo anni di ricerche e tentativi di riprodurre artificialmente una copia del sacro lino, siamo ancora lontani dalla verità.
E veniamo alla storia della tilma con l’immagine della Madonna di Guadalupe, la sindone messicana.
Il giorno del solstizio d’inverno del 1531, un ragazzo di nome Cuauhatlatoa, in lingua azteca Aquila Parlante, battezzato poi Juan Diego, incontrò sulla sua strada una signora dalla carnagione indefinita, né pallida né scura, che gli chiese di convincere il vescovo ad edificare una chiesa in quel luogo. Altre apparizioni seguirono ma la prova che fece gridare al miracolo fu la comparsa dell’immagine della Vergine impressa sul mantello del giovane.
Fatto di ayate, fibra di agave, il mantello, in lingua india “tilma”, avrebbe dovuto decomporsi in circa vent’anni ma non mostra segni di degrado dopo più di mezzo millennio. Respinge gli insetti e la polvere presenti sul vetro e sulla cornice; attaccato dall’acido muriatico per errore anni fa, non ha subito reazioni. Sull’immagine, che non è un disegno e neppure una pittura, è presente un piccolo geroglifico posto all’altezza del ventre della Vergine, un fiore a quattro petali che identificava il centro del mondo e conosciuto solo dal popolo indio ; poco sopra appare una cintura color viola scuro, segno per gli aztechi di gravidanza. Si dice che uno dei medici che analizzò il manto pose il suo fonendoscopio sotto il nastro e ascoltò dei battiti cardiaci alla frequenza di 115 al minuto, la stessa di quella fetale. Sulla tilma è anche ritratta una mappa di stelle visibile proprio in quel solstizio d’ inverno del 1531.
La tecnica del dipinto è tuttora sconosciuta, il premio Nobel per la chimica nel 1938, il tedesco Kuhn, analizzò due fili, uno rosso ed uno giallo, arrivando alla conclusione che sulle fibre non vi è traccia di coloranti, né vegetali, animali o minerali. Anche gli scienziati della Nasa hanno provato a capirci qualcosa. Chiamati per smontare ogni superstizione, hanno aggiunto mistero al mistero.
Infatti sull’iride dell’occhio destro è stata identificata l’immagine di un volto, forse proprio quella di Juan Diego che assiste all’apparizione, mentre la perlustrazione microscopica ha addirittura scoperto altri dodici volti riflessi sull’iride di entrambi gli occhi, ingrandendo 25000 volte l’immagine; in pratica un’istantanea del momento dell’incontro.
Solo qualche decennio prima, dall’altra parte del mondo, uno dei più grandi geni dell’umanità, Leonardo da Vinci, dipingendo la Gioconda, riusciva ad inserirvi una sigla, evidenziata poco tempo fa, sull’iride di entrambi gli occhi, una L ed una V.
Altrettanto stupefacente fu quanto accadde il 14 novembre 1921, quando un complotto anarchico mise del tritolo in un vaso da fiori accanto all’altare del santuario, proprio sotto la tela della Madonna di Guadalupe. L’esplosione mandò in frantumi l’altare, ma nemmeno scalfì l’immagine sacra. L’impatto colpì un crocifisso; in una teca ai lati del nuovo santuario è possibile vederlo, tutto piegato con la croce anch’essa piegata ma non divelta dal pesante fusto bronzeo.
Oggi milioni di visitatori arrivano da tutta l’America latina al santuario di Guadalupe, situato alla periferia di Città del Messico, confuso ed accerchiato dalle case delle favelas, quasi tutte grigie perché l’assenza di intonaco permette di definirle incompiute e quindi non tassabili con la “predial”, la IMU messicana. Hanno a disposizione pochi secondi per vedere il sacro mantello, passandovi davanti su un tapis roulant.
Altrettanti milioni di visitatori si recano a Torino all’ostensione della Sacra Sindone, quest’anno dal 19 aprile al 24 giugno, nel Duomo della città. Anche per loro pochi attimi sono riservati allo sguardo del sacro sudario.
A poca distanza, nella Biblioteca Reale , vigila l’autoritratto di Leonardo, un disegno a sanguigna su carta. In un mondo che tutto vuole spiegare, che tutto vuole ridurre a logica e razionalità, dove il contrappunto è il fanatismo, il mistero su queste immagini ha un fascino che non sarà mai spento. E anche se Leonardo alla fine non c’entra per niente, lasciamocelo, era pur sempre un genio italiano.
L’immagine del volto sindonico, confrontato con l’autoritratto di Leonardo, anch’esso custodito a Torino, indicherebbe che Gesù e Leonardo da Vinci avrebbero avuto un volto somigliante verso il termine della vita, come l’ebbero Leonardo e Michelangelo, se guardiamo al ritratto del Buonarroti che ne fece da anziano Daniele da Volterra. Oltre ad avere un intelligenza simile nel metodo con Gesù, basata su giochi specchi, processi inclusivi, ricorsivi, i due grandi artisti verso il termine della loro vita avrebbero un volto tendente a quello di Gesù, che di fatto ha valenza archetipa. I santi hanno lo sguardo del Signore, i geni il volto. Questo sarebbe vero sia se la Sindone è vera reliquia sia se è un falso veritiero ad opera dell’arte di Leonardo. La Sindone come un quadro rinascimentale, (es. l’immagine della ferita al costato ricorda il volto del guerriero della Battaglia di Anghiari, ecc…). Le opere del rinascimento come icone. Cfr. ebook. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo.