Nonostante la crisi mondiale, la Merkel, i cinesi, l’Isis e Matteo Renzi vi è un’industria italiana in crescita, un’industria persino capace di un aumento del 10 per cento in un anno. I risultati sono certi e certificati: 15,4 miliardi di euro solo nel 2014. Bingo. Purtroppo è l’agromafia. Un congegno micidiale quanto efficiente e lucroso. Molto, molto lucroso.
Fantasie? No. È quanto emerge dal terzo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Il quadro è desolante quanto inquietante. Molto inquietante. La produzione, distribuzione, vendita della filiera agroalimentare nazionale sono sempre più infiltrate e condizionate dal potere criminale, esercitato ormai attraverso i “colletti bianchi”, gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e persino l’orientamento delle attività di ricerca scientifica. È l’agromafia. Una roba terribilmente seria.
Nel silenzio dei più, la piovra prospera e si spande ovunque. Il punto di partenza è il Sud — la cassaforte alimentare dello Stivale —, poi i capitali accumulati dagli agromafiosi, attraverso le mille forme di sfruttamento e di illegalità, salgono al Nord e poi si spingono in Europa conquistando pezzi interi di buona economia.
Grazie a prestanome e intermediari compiacenti, gli agromafiosi si stanno impadronendo d’imprese, alberghi, ristoranti, bar, attività commerciali soprattutto nel settore della distribuzione della filiera agroalimentare, creando, di fatto, un “circuito vizioso”: produco, trasporto, distribuisco e poi, realizzando appieno lo slogan “dal produttore al consumatore”, vendo e guadagno.
L’incremento — sottolineano Coldiretti, Eurispes ed Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare — è stato incrementato da più fattori, alcuni non prevedibili come quelli climatici, che hanno colpito pesantemente la produzione, non più in grado di soddisfare la domanda, aprendo così le porte a fenomeni di falsificazione e sfruttamento illegale dei marchi italiani. Ma nom solo.
Le banche (discorso ancor più drammatico e taciuto) fanno la loro sporca parte. Le restrizioni (al limite dell’usura) nell’erogazione del credito alle piccole e medie imprese hanno portato o alla chiusura di tante, troppe aziende o alla necessità per molti imprenditori di ricorrere ad operatori “non istituzionali” o “coperti”. Il tutto, spesso e volentieri, con “aiutino” di direttori di agenzia (ma non solo loro, anzi) non proprio trasparenti…
Attraverso queste forme l’imprenditorialità criminale si garantisce il riciclaggio degli patrimoni “sporchi” frutto dal traffico di droga, del racket, dell’usura e della prostituzione. Al tempo stesso, le varie mafie hanno fissato nuove forme di controllo del territorio proponendosi come veri e propri soggetti economici capaci di condizionare mercati e appalti. Con la capacità di corrompere pubblici funzionari e “giocare” sui finanziamenti statali e europei.
I nuovi “padrini” sono però attenti. Molto attenti. Se volete capire qualcosa di questo lurido affare dimenticate i film e i telefilm. “Questi” non sparano (se non quando è proprio necessario) ma inquinano, devastano e poi corrompono, comprano, investono e poi vendono e investono un’altra volta: nelle catene commerciali della grande distribuzione, nella ristorazione, nella gestione dei circuiti illegali delle importazioni/esportazioni di prodotti agroalimentari sottratti alle indicazioni sull’origine e sulla tracciabilità. Per non perdere il vizio — e controllare il territorio garantaendo “piccoli” affari ai “soldatini” meno istruiti —, vi è poi l’immigrazione, la macellazione e la panificazione clandestine, lo sfruttamento animale, il doping nelle corse dei cavalli e soprattutto (il grande business) l’industria dei rifiuti: la “terra dei fuochi”, il deserto inquinato che si estende tra Napoli e Caserta. Con buona pace di Gigino De Magistris e i suoi ex colleghi togati.
Come sottolinea Coldiretti è «singolare in questi contesti è il livello delle intese trasversali raggiunte, vere e proprie joint venture realizzate da famiglie mafiose, ’ndranghetiste e camorriste per definire i loro ambiti di influenza su prodotti alimentari specifici, sulla manodopera, sui trasporti e sulle forniture del packaging. Il rafforzamento del profilo economico e finanziario dei gruppi “criminali storici” vede un continuo inserimento di elementi contigui ai sodalizi nella gestione e/o nella struttura societaria di imprese che riguardano sempre più frequentemente il comparto agroalimentare, specie con riferimento ai circuiti della commercializzazione e della logistica dei trasporti. Il ciclo illegale dei rifiuti, della cementificazione e delle “energie alternative”. Il settore ambientale vede anche altre iniziative che hanno sottratto vaste aree agricole con la cementificazione selvaggia e con manovre speculative sulle cosiddette “energie rinnovabili” legate all’agricoltura, quali i sistemi fotovoltaico, eolico e delle biomasse per i rilevanti incentivi economici previsti per il settore. Con riferimento alla estensione territoriale del fenomeno delle agromafie è altrettanto noto come i sodalizi criminali “storici”, che si sono evoluti nei termini indicati di criminalità economica anche nel settore agroalimentare, ormai non interessano solo i territori meridionali, ma riguardano anche le aree del Centro e del Nord Italia dove le consorterie mafiose si sono da tempo insinuate nel tessuto economico attraverso un fitto intreccio di interessi tra comitati d’affari locali e famiglie mafiose siciliane, clan camorristici e ’Ndrangheta calabrese. Il “modello economico-criminale” è stato dunque replicato come ben delineato in diversi riscontri investigativi: anche in questi casi si va dall’accaparramento dei terreni e della manodopera agricola al controllo della produzione, dal trasporto su gomma allo stoccaggio della merce, dall’intermediazione commerciale alla fissazione dei prezzi, fino ad arrivare agli ingenti investimenti destinati all’acquisto di supermercati o centri commerciali in cui possono trovare àmbito privilegiato di impiego i proventi illeciti, anche in termini di riciclaggio».
Nulla da aggiungere. Il male è alle porte.