Nei Paesi Bassi, oltre alla famiglia reale e alle onnipresenti biciclette, vi è un altro fattore immutabile: Mark Rutte, da ieri nuovamente in sella con il suo nuovo governo. Il quarto in quasi dodici anni, un record. Questa volta il parto è stato laborioso, dalle elezioni dello scorso 19 marzo sono trascorsi ben 273 giorni — nove mesi pieni, il periodo di vuoto più lungo della storia politica olandese — passati in trattative e mediazioni. Un percorso complesso punteggiato da colpi di scena, retromarce, incidenti di percorso, stilettate: vi è chi ha dimenticato scottanti dossier su un treno e chi ha soffiato alla stampa, con il chiaro intento di “bruciare” qualche rivale, la presunta lista dei ministri oppure ha svelato ai giornalisti i punti più controversi del programma. Insomma, una serie di sgambetti intrecciati che hanno trasformato la morigerata politica olandese in una variopinta sceneggiata. Eppure, alla fine di tutto questo trambusto, Rutte è riuscito a presentare una coalizione di governo che, come scrive il quotidiano “Het parool”, «nessuno veramente voleva». Chapeau…
Ma al di là delle indubbie capacità manovriere dell’inaffondabile leader del conservatore Volkspartij voor Vrijheid en Democratie (Partito popolare per la libertà e democrazia), qualcosa di sostanziale è cambiato. In cambio dell’appoggio del D66 (centro sinistra), del CDA (centrodestra) e della Christen Unie (Unione cristiana), il molto “frugale” Rutte è stato obbligato a rottamare quella politica della lesina e del rigore che lo ha contraddistinto in patria e in Europa.
Nelle 50 pagine del nuovo programma di governo — significativamente intitolato “Prendersi cura degli altri, guardare verso l’avvenire” — si prevedono un piano nazionale di edilizia popolare (1,6 miliardi), l’innalzamento dei salari minimi al 7,5 per cento, misure per il sistema scolastico e per la riduzione del costo della vita per le fasce più deboli e un forte impegno (35 miliardi su dieci anni) contro il cambiamento climatico con investimenti sull’idrogeno e rinnovabili con l’obiettivo di raggiungere entro il 2050 la “neutralità climatica”. Nella lista della spesa vi sono inoltre altri sostanziosi capitoli di spesa destinati alla difesa (tre miliardi extra budget) e alla realizzazione di due nuove centrali nucleari. Una somma di iniziative che proietteranno il rapporto tra debito pubblico e Pil oltre il 60 % posto dall’UE, fissando così una netta discontinuità con la tradizionale linea olandese in Europa.
Una scelta non casuale. Commentando il programma gli esponenti del D66, a cui è stato assicurato il ministero delle Finanze, hanno ribadito che «è tempo di una visione più costruttiva sulla modernizzazione delle regole di bilancio dell’Unione. E la riduzione del debito non sarà più la prima priorità». Una visione analoga a quella del neo cancelliere tedesco Scholz e sinergica alla revisione del Patto di stabilità e crescita richiesta da Macron e Draghi.
La drastica inversione di marcia non ha scosso, almeno apparentemente, il camaleontico Rutte che ha definito l’intero programma «bello e solido». A protestare, dal suo 10,79% elettorale, è rimasto soltanto il leader sovranista Geert Wilders: «Il programma è una truffa. Rutte è cieco, questo è un governo di sinistra. Avremo soltanto più immigrazione, più rifugiati, più stupidaggini ambientaliste. Vergogna!».