La tentata truffa di Grillo, di presentare il suo movimento oltre la destra e la sinistra, è fallita con la formazione del governo Cinque Stelle + P.D. La politica, infatti, non può che rispecchiare la struttura della realtà, che è ineluttabilmente duale: vita e morte, giorno e notte, bene e male, spirito e materia. E ci propone la distinzione di due sistemi dottrinari, etici e culturali contrapposti, “reciprocamente esclusivi e congiuntamente esaustivi”, per dirla con Norberto Bobbio, che sottolinea come Destra e Sinistra ” indicano contrapposti programmi rispetto a molti problemi la cui soluzione appartiene abitualmente all’azione politica, contrasti non solo di idee ma anche d’interessi e di valutazioni sulla direzione da dare alla società, contrasti che esistono in ogni società, e che non si vede come possano scomparire”, (Destra e Sinistra, N.Bobbio).
L’amico Marcello Veneziani ha definito i due termini ” vecchie ciabatte”, ma ha dovuto riconoscere che calzano ancora. Calzano, eccome, se nel trascorrere dei tempi e nel cambiare dei problemi e delle ideologie, dura e perdura la connessione con la sinistra di tutte le teorie, dal razionalismo al marxismo, dal capitalismo al comunismo, improntate ad una concezione utilitaristica, edonistica, comunque materialistica della vita; come dura e perdura l’attribuzione alla destra di tutte quelle ispirate ad una concezione trascendente dell’uomo. La cultura moderna, astraendo dalla realtà, “accordando arbitrariamente la preminenza ad una certa categoria isolata da tutte le altre “, (Gabriel Marcel), ha rotto l’unità dell’essere, ha separato e posto in contrasto spirito e materia, ha sostituito alla sintesi ed all’ unità l’analisi e l’unilateralità.
“Da tre secoli a questa parte”- osservò Nicolò Giani- ” l’umanità ha voluto vivere su un piede solo”. Ne’ Hegel ne’ Marx sono riusciti a ristabilire l’unità e per la più facile evidenza e più immediata esigenza della sua struttura la materia è diventata il centro di gravitazione del pensiero e delle attività umane. ” Noi viviamo praticamente ciò che la visione nichilista di Nietzsche aveva anticipato e che il materialismo aspira a realizzare: la dedizione dell’uomo alla terra, l’eliminazione di ciò che si chiama uomo interiore, la concentrazione di tutte le sue forze nel processo economico, la limitazione della vita a due soli fatti cardinali: produzione e consumo”. L’uomo è ridotto a nodo di utilitarismo e edonismo, ad individuo egoista e asociale; l’arte e le lettere diventano lo specchio del suo agnosticismo, del suo egocentrismo, del suo lassismo. Per rinascere, per riconquistare la sua integrità l’uomo deve ancora una volta calare dall’astrazione alla concretezza, riscoprire la complessità dell’essere. Deve tornare alla storia, che significa tornare a se'”.

“Soltanto risalendo nei secoli, infatti, noi possiamo veramente individuare le caratteristiche tipiche nostre, possiamo stabilire l’esistenza di una tradizione, cioè di alcune costanti proprie del nostro popolo”. Una tradizione che dalla Roma imperiale e repubblicana a quella autenticamente cattolica, da Dante a Machiavelli, dalla Controriforma a Vico e Rosmini è nettamente antindividualistica e anti edonistica, cioè antirazionalistica ed antieconomicistica.
“Sempre, lungo i secoli, i nostri pensatori hanno riconosciuto l’importanza della ragione quale mezzo di ricerca della verità, mai essi l’hanno elevata sugli altari, mai si sono sentiti di divinizzarla o farla centro e base di un sistema, vuoi filosofico, vuoi politico”. Il nostro antirazionalismo va inteso, pertanto, non come un atteggiamento irrazionale dello spirito, ma come una posizione che rifiuta di divinizzare la ragione, ma riconosce nella volontà e quindi nella libertà e nella responsabilità il momento essenziale dell’uomo. Ora, la volontà manifestata ed espressa dal nostro popolo attraverso la storia, la religione è la cultura è quella di avvertire e concepire la vita come una missione e il mondo “come una realtà da trasformare e ordinare secondo un determinato ideale”.
E ‘ proprio questo ideale che manca alla cultura moderna; è di ideale che ha confusamente nostalgia l’uomo di oggi. In fondo il problema è sempre lo stesso: qual’e’ il senso della vita? Qual’è la verità? Dunque, il problema è etico e non può essere risolto senza un’intuizione religiosa della vita. Chi cerca un’etica senza Dio “assomiglia a quel tale che vuole uscire dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli”, come annota l’illustre studioso Giovanni Reale.
Di nuovo qui si propone l’alternativa fra destra e sinistra. L’uomo di destra crede in Dio o sa di doverci credere. Sa che senza la fede in Dio la vita si riduce ad esistenza, l’esistenza a caso, e l’uomo a strumento del caso. È “la causa” che ci accomuna e ci affratella, ci sottrae alla separazione degli individui, ci integra in comunità: così nasce la nuova specie, la “specie politica”, come osservò Aristotele, capace di sovrastare l’istinto e decidere il proprio destino, di sovrastare la legge della natura con la legge dell’uomo. La legge dell’uomo non è solo di vivere in società, ma di vivere per la società. La società come luogo e mezzo è il branco, in cui prevalgono la forza, l’astuzia e la fortuna. La società come fine è condizione e stimolo all’elevazione ed al progresso: è motrice di storia. “Ubi societas, ibi jus”, asserivano i Romani. E dove c’è il diritto c’è il primato dell’uomo, non quello della natura: alla legge della natura è subentrata la legge dello Stato.
Dunque, se lo Stato è l’ordinamento giuridico della società, come recita ogni testo scolastico, è anche la dimensione sociale dell’uomo, la sua proiezione metafisica, la sua lievitazione da individuo a popolo, a nazione, ad umanità. Lo Stato è l’individuo che si fa storia e civiltà. Per questo lo Stato è eticità, superamento dell’io empirico, tensione verso l’io universale, cammino verso l’ideale.
Certamente la destra ha presentato e presenta molti caratteri dottrinari, politici e programmatici; proprio per questo ci sono state e ci sono destre diverse, secondo i diversi caratteri assunti, come, del resto, ci sono state e ci sono diverse sinistre: in conseguenza e in relazione ai contesti storici, alle estrazioni sociali, alle strutture economiche, alle matrici religiose e culturali. Di qui la necessità di definire e ridefinire continuamente i contenuti delle proprie opzioni e posizioni ideali, politiche e programmatiche, sia come singoli sia come gruppi, se non si vuole restare ai margini del processo storico e fossilizzare con noi la nostra fede e le nostre idee.
Definire e ridefinire non significa ripetere e replicare, ma approfondire e selezionare, ribadire, ma anche rifiutare. Continuità e cambiamento s’implicano reciprocamente ed entrambi sono implicati dalla vita. Solo la morte è immobile, nemmeno i morti, che degradano in putrefazione.
Per noi, definire e ridefinire la destra significa continuità dei presupposti indicati, cambiamento di metodi e programmi, innovazione di contenuti. Continuità nell’intuizione spirituale della vita vuol dire negare la nozione del bene come oggetto del desiderio, oggi prevalente nel costume privato e in quello pubblico. Vuol dire contestare e contrastare l’etica del piacere che genera e propizia l’egoismo, l’arrivismo, l’affarismo, l’autoalienazione ed il pervertimento, che inquinano la condotta umana e professionale di tanti. Vuol dire in concreto no all’aborto, no alla droga, no al lassismo ed al permissivismo nelle famiglie, nella scuola, nel lavoro, nella pubblica amministrazione; no alla lottizzazione, all’adulterazione, all’abusivismo, all’inquinamento; no all’attenuazione delle pene, no alle amnistie, no alle prescrizioni accelerate. Continuità nella concezione dell’uomo come centro di relazioni sociali significa educarlo alla solidarietà, alla partecipazione, al civismo: sottrarlo all’egocentrismo e farlo gravitare attorno alle istituzioni ed agli obiettivi in cui si sono storicamente determinati e politicamente manifestati gli ideali di libertà e di emancipazione dal bisogno e dall’ignoranza, dal pregiudizio e dalla violenza, dalla sottomissione e dalla discriminazione.
Vuol dire subordinare i propri interessi a quelli della collettività, i gruppi e le categorie alla società, i partiti e i sindacati allo Stato. Vuol dire cedere il passo è passare la mano quando gli anni si affardellano sulle nostre spalle e le energie declinano: giacché l’esperienza dei vecchi può fare da scudo, ma non da lancia; e chi non attacca, alla lunga non si difende, trasforma la trincea in tomba. L’avvenire è degli audaci e l’audacia è virtù dei giovani.
Continuità nell’interpretazione umanistica della storia significa capire che essa è il fiume di cui noi siamo insieme sorgente e foce, letto ed argini, acque e detriti; che essa è il frutto delle nostre azioni ed omissioni; che non ha un senso ed una direzione diversi da quelli che le diamo; che non è la crociana storia della libertà, ne’ il processo unilineare e progressivo dei marxisti; che non c’è provvidenza nella storia, se non ce la mettiamo noi. La storia è il tracciato del nostro cammino, lineare o tortuoso, avanti o a ritroso, rapido o lento, secondo l’alterna vicenda del perenne conflitto fra l’istinto e lo spirito, fra il richiamo della terra e l’aspirazione al cielo. È sempre storia di sacrifici e lotte, di sofferenze e speranze, di illusioni e di ideali; ricca, pertanto, di esempi, di suggerimenti, di valori morali e conoscitivi. È l’eredità che le generazioni si tramandano.
A quest’eredità non è possibile rinunciare, perché noi stessi ne siamo parte; possiamo semplicemente subirla o governarla. La subisce sia chi la rinnega sia chi la rivendica in toto: gli uni e gli altri sono uomini dimezzati, o senza passato o senza futuro. Convengo con De Broglie, uomini sono coloro che pensano, il resto è evoluzione. Pensare significa osservare e valutare, criticare e scegliere. Scegliere nella storia della destra ciò che intrinsecamente è positivo ed attualmente opportuno; riconoscere e rifiutare ciò che non lo è; inventare risposte adeguate alle domande ed ai problemi del proprio tempo. Questa è ad un tempo la strategia e la metodologia giusta e vincente.