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Opera di Roma/ Grande musica e piccole teste

di Augusto Grandi
6 Ottobre 2014
in Home
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Opera di Roma/ Grande musica e piccole teste
       

Avranno sicuramente esagerato, orchestrali e coro dell’Opera di Roma. Avranno preteso, per la sopravvivenza in trasferta, più del dovuto e più di quanto percepito dai loro colleghi di altre città italiane. Tutto vero. Ma il loro stipendio è tutto tranne che faraonico. La Stampa/ La  Busiarda, il quotidiano degli Elkann-Agnelli, sostiene che sia comunque troppo elevato rispetto ai giorni di effettivo lavoro tra prove ed esecuzioni pubbliche. Si parla di poco più di 2mila euro al mese. Ma lo stesso quotidiano non ha nulla da obiettare di fronte ai 900 euro al mese elargiti per ospitare, negli hotel della Riviera Romagnola, ciascun clandestimo. Che, per una famiglia di 4 persone, fa la bella cifra di 3.600 euro al mese. Siamo sicuri che nelle famiglie degl orchestrali arrivino tutti questi soldi? E se gli orchestrali lavorano poco, quanto lavorano i clandestini?

Ma è curioso che questi attacchi colpiscano la musica classica, casualmente una delle espressioni della cultura europea. Costa troppo, assicurano i critici che, invece, non fiatano di fronte ai finanziamenti per qualsiasi manifestazione culturale multietnica. Ed allora si dimentica che un professore d’orchestra non si limita alle esibizioni o alle prove ufficiali. Studia lo strumento a casa propria, come può confermare chiunque abbia la fortuna (o sfortuna) ai abitare vicino ad un orchestrale o ad un corista. Ore e ore di studio, di allenamento, di preparazione tra le mura domestiche. Magari ripetendo lo stesso brano all’infinito. Ma questo, per chi vuole eliminare ogni manifestazione di una cultura europea, non conta assolutamente nulla.

Quanto incassa un concerto a teatro? Quanto rende? Qual è il valore della cultura? Certo, si possono mettere sotto contratto precario ragazzotti senza arte né parte che, però, chiedono cachet da fame. Certo, invece di 12 violini se ne possono utilizzare 3, con un contrabbasso, un oboe ed un corno. Certo, gli strumenti che, nel corso di un concerto, vengono suonati per meno di 10 minuti complessivi possono venir eliminati. Ma il risultato è qualcosa di diverso, di molto diverso, rispetto a ciò che deve essere. Oppure si possono aumentare i prezzi dei biglietti, riservando la tradizione musicale europea ai soli ricchi. Per il popolo bue devono bastare bonghi e ocarina. O un cd suonato in una piazza. La cultura è alla base di un popolo, è alla base anche dello sviluppo economico. Se vendiamo il made in Italy è perché all’estero hanno ancora un’immagine dell’Italia legata al bello, alla cultura nostra, alla nostra musica. Sostituire Verdi con un rapper sarà anche moderno e permetterà risparmi, ma servirà solo a cancellare una cultura e pure l’immagine del made in Italy.

Tags: arteimmigrazione clandestinamusicamusica liricaOpera di RomaRomateatro
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