Le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Partito Democratico, accolte dalla stampa come se fossero un fatto epocale, hanno di fatto avuto poche conseguenze. Fra di esse, l’inevitabile scelta d’un successore: è il turno di Enrico Letta, già protagonista (si scusi il termine fuori luogo) d’un mandato da Presidente del Consiglio tanto breve (dieci mesi) quanto anonimo.
La peggiore, tra le conseguenze della scelta di Zingaretti, sembra sia il ritorno alla ribalta delle Sardine: il movimento (né partitico, né d’opinione, nulla) cominciato nell’autunno 2019 per fronteggiare la campagna elettorale in Emilia-Romagna della candidata di centro-destra Lucia Borgonzoni (sconfitta, ma non per questa improvvisata); movimento che, dopo il momento apicale della manifestazione nella romana Piazza S. Giovanni in Laterano, è stato travolto dalle costernanti apparizioni televisive del suo stesso leader, umiliato a ogni sua comparsata da giornalisti di centro-destra come di centro-sinistra. Con perfido compiacimento dello scrivente, che per colpa loro aveva accusato un episodio depressivo (chi me lo fa fare, si diceva, di dedicare tempo e forze alla politica, quando il dibattito politico è stato gettato in caciara dalle Sardine?).
Andiamo al punto. Il governatore del Lazio si dimette dal partito, e c’è maretta per qualche giorno al Nazareno. Come accade in ogni momento di crisi, arrivano gli sciacalli. Eccoli, muniti di smartphone, a filmarsi mentre, bloccando il portone del palazzo, col solito stile informale (ossia, un non-stile), farfugliano: non c’entriamo nulla col Partito Democratico, ma siamo nel Partito Democratico, perciò pur non avendo interesse nel Partito Democratico, siamo coinvolti nel Partito Democratico, quindi siamo qui a vedere cosa succede, senza sperare troppo di capirci qualcosa. Sono riusciti (giorni, settimane dopo) a stilare un programma: e data la mancanza di capacità dimostrata in un anno e mezzo d’esistenza del movimento, è già un risultato. Il programma è un disastro, ma accontentiamoci: sono riusciti a scriverlo. Il mio interrogativo è, lo ammetto, a monte.
Torniamo indietro: le sardine e il loro insipiente leader si gloriano di essere esperti di comunicazione: Romano Prodi li pagava per questo. Una delle loro figuracce peggiori risale proprio a questo: ad Alessandro Sallusti che domandava quale fosse il loro parere rispetto una delle questioni più difficili dell’inverno 2019-’20, ossia l’ILVA di Taranto (parliamo di migliaia di posti di lavoro in ballo e di reparti oncologici stracolmi, mica di puttanate “arcobaleno”), il “sardino” rispondeva: ci occupiamo di una nuova forma di comunicazione politica, queste vicende non ci interessano. Il Nulla insomma.
Si occupano soltanto di comunicazione, e lo fanno pure male: la loro utilità sta forse nell’essere un valido motivo (uno dei tantissimi) per abolire i corsi di laurea in Scienze della Comunicazione. Ogni volta, con una puntualità inappuntabile, che dicono qualcosa, lo fanno malissimo. Fossero anche scemenze come un post su Facebook, una foto per i “social network” (la scorsa estate ha suscitato ilarità quella del leader “sardino” di spalle, con l’ombra della testa del fotografo a coincidere con le terga del Nostro: com’è possibile non accorgersene non dico nel momento di pubblicare l’immagine, ma proprio in quello di scattarla?): quando si tratta di forma, le sardine riescono a raggiungere il livello in cui sono sprofondati quelle pochissime volte che hanno provato a pensare alla sostanza. Infatti il loro programma è pessimo sia nella forma che nella sostanza: l’ennesima rassegna dei luoghi comuni della nuova “sinistra” (in realtà, un liberalismo all’americana di destra in materia economica, approssimativo nelle questioni sociali e nichilista sotto l’aspetto delle idee) globalista; un esatto clone del peggior partito italiano di sempre, +Europa.

Ma torniamo ancora indietro. Dicevamo: nelle convulse giornate del Nazareno, quando al Partito Democratico si reagiva alle dimissioni del segretario Zingaretti come si reagisce a qualsiasi altra cosa: con attacchi di panico e crisi di nervi, le sardine profittavano della situazione per uscire dal silenzio nel quale la Divina Provvidenza sembrava averli mandati per un breve periodo.
Una delle loro manifestazioni era una foto del loro leader: aspetto fanciullesco (è mio coetaneo ma sembro suo nonno: avrò sbagliato qualcosa io…), sorriso ebete (come si dice tra aristocratici: beato te che non capisci un…), copricapo a nascondere i capelli perennemente luridi (più efficace del solito cerchietto), maglietta del pigiama perché quando in vita propria non ci si sveglia mai prima di mezzogiorno le camicie possono restare nella naftalina, sacco a pelo, frigorifero da campo, tenda, foto di Berlinguer incorniciata.
Saltano all’occhio, immediatamente, tre particolari: la stanza suscita un po’ di “horror vacui”; cosa diamine ha in testa chi monta una tenda al chiuso; il contrasto tra il volto emaciato di Berlinguer e l’espressione di chi non ha una mazza per la testa stampata sul lombrosiano volto del sardino.
Due gli scandali: qualcuno sospetta che la foto testimoni l’occupazione, da parte delle sardine – che già si sono resi colpevoli, e si sono premurati di mostrarlo tramite “social network”, del reato di violenza privata, bloccando l’ingresso del Nazareno (i cui legittimi proprietari li hanno perdonati, in nome della loro evidente inconsapevolezza: beati loro che non capiscono un…) – di locali della segreteria del PD; i più si scandalizzano, come si permette il sardino di accostarsi a Santo Enrico da Sassari, padre nobile della sinistra italiana e fregnacce varie.
Qui finalmente giungo al punto. Che le sardine siano quanto di peggio la Seconda Repubblica abbia mai espresso è fuori discussione; sono uno dei frutti più marci dell’egemonia culturale di sinistra. Proprio qui sta il problema: l’indiscutibilità, il dogmatismo su cui si poggia questa egemonia – ne ho scritto riguardo la santificazione laica di Franco Basaglia (“Meglio un giorno da Mario Tobino che 100 da Basaglia”, 15 dicembre 2020): che è soltanto un esempio (gravissimo, pernicioso) di questa egemonia.
Il sardino che si fa ritrarre assieme al santino di Berlinguer fa l’effetto del comico tedioso che si paragona a Totò, del calciatore scarsissimo che mette la maglietta di Maradona, dei Volo che straparlano della Callas (non è successo, né mai succederà: loro stessi si pregiano di non ascoltare mai musica lirica). Con una differenza: Berlinguer non era Totò, né Maradona, né la Callas. Ha avuto, come loro (e come Basaglia, Pertini, Fo), ottima pubblicità; ma, a differenza loro, Berlinguer (così come Basaglia, Pertini, Fo) non ne era degno.
Le sardine sono l’ennesimo snaturamento della sinistra, dall’operaismo al liberalismo. Ma chi ha spianato la strada a questa perversione? Berlinguer, che strillava contro il Partito Socialista, “colpevole” di essersi sempre più allontanato dal massimalismo e di essere sempre più riformista; quello stesso Berlinguer che intanto inaugurava un pastrocchio come l’eurocomunismo – il quale cosa altro era, se non un abbandono del massimalismo in favore del riformismo? Se in tutta Europa i partiti socialdemocratici hanno soppiantato quelli comunisti, chi si deve ringraziare? Berlinguer – il comunista passato alla storia per aver distrutto i partiti comunisti europei.
Non è tutto, ci sono i metodi camorristi con i quali Berlinguer e Antonio Tatò perseguitavano gli avversari (soprattutto i socialisti), la totale incapacità di leggere le situazioni politiche (come nel 1980, quando la situazione socioeconomica italiana era alla sua massima fioritura, ma Berlinguer predicava miseria perché i fantasmi di Marx e Lenin glielo chiedevano), la ristrettezza di vedute (predicare l’eurocomunismo senza capire che avrebbe distrutto i partiti comunisti europei).
Non lo si nega: Berlinguer era un uomo che sapeva affrontare il suo tempo, aveva carattere (qualcuno dice carisma: beati loro che si accontentano), sapeva muoversi in una politica che comunque non capiva. Le sardine nemmeno questo. Le sardine sono molto peggio di Berlinguer… ma Berlinguer non era meglio di loro.
Finché però ci si scandalizza per l’accostamento tra le sardine e Berlinguer, si conferisce sacralità a Berlinguer, e a tutte le altre figurine dell’egemonia culturale che lo ha fatto sopravvivere. E finché si lascia prosperare questa egemonia, si fa un favore enorme alle sue creazioni più miserabili: sardine comprese.
Sicuramente un piccolo successo nella comunicazione lo hanno ottenuto
Ne sta parlando anche Lei
Non si appiattisca su tanta pubblicistica destraiola , che non riesce ad andare oltre al nostalgismo dei bei tempi andati, od allo struggente rammarico della serie “noi i siamo migliori ma nessuno ci capisce”
Continuo a pensare che bisognerebbe fare uno scatto in avanti e cercare di essere più assertivi per aiutare una comunità in grave crisi di identità ma che avrebbe , grazie ad alcuni, il bagaglio di cultura politica necessaria per affrontare le sfide dei tempi correnti
La Storia ci sta passando davanti ed ognuno nel proprio piccolo deve cercare di non arrivare in ritardo alla fermata
Con affetto e speranza da un “vecchio” militante