Un fenomeno sociologico che coinvolge una massa considerevole di italiani, soprattutto quando ha assunto le sembianze di una vera e propria transumanza in blocco del triangolo cittadino, Roma, Napoli e Verona in direzione del clima mite formenteregno, è un nodo intricato. Solo la massificazione dei tour operators e le offerte “esca” dei voli low cost, potrebbero spiegare a chi è in cerca di un po’ di tranquillità sull’isola, quanto abbiano realmente influito sull’immaginario collettivo di chi la visita alla ricerca di una nuova iniquità, formato Mykonos. Nulla di più sbagliato. D’altronde, il deliro Unisex è una peculiarità facile da offrire al banco turistico dei lobotomizzati dai giornali scandalistici e dalla presenza costante (purtroppo), “dell’enclave calcistica” di mezza Europa.
Il caso vuole, che la ricerca oppressa dall’affanno della “massa inerme” che si riversa lungo le sue fasce costiere, sia distribuita principalmente nelle spiagge più gettonate di Formentera (la spiaggia De ses Illetes su tutte) e nei soliti quattro locali modaioli presenti nel piccolo centro di Es Pujols. Regalando scorci di rara bellezza a chi da sempre ha combattuto questa tipizzazione della «finalità turistica». Lo hanno capito sulla loro pelle gli abitanti di Formentera che, in più occasioni, hanno assaggiato l’amaro sapore e le insolvenze del Peix Sec (pesce secco) delle catene di montaggio del turismo mordi e fuggi. A quanto pare i tempi sono cambiati e la scelta di puntare su un turismo di famiglie e coppie, alla lunga porterà dei risultati soddisfacenti. Certo, non da subito gli stessi sul piano economico ma, di sicuro, sulla qualità degli ingressi.
Una sorta di selezione intelligente e ragionata sulla distribuzione del lavoro, che incomincia a dare i propri frutti. A partire dalla Capitale Sant Francesc Xavier, che a luglio ha ospitato negli spazi della sala de “exposiciones del Ajuntament vell” (nella sala del Municipio della città vecchia), l’esposizione di Robert Hawkins dal titolo Serendipia Sospechosa. L’amico e rinomato artista, spinto dalla sua vena impressionista dai tratti meravigliosi alla Monet, è riuscito in tanti anni a riprodurre nei suoi quadri i paesaggi, la terra, gli uomini e il mare, di un angolo incontaminato del nostro Mediterraneo. Un americano in Europa che è riuscito a comprendere a pieno i tratti, gli usi e i costumi, distanti dalle caldane manieriste delle mete chic dell’intellighenzia cialtronesca. In questo scenario Sant Francesc si distingue, soprattutto di notte, scostandosi di parecchio dal “Circo Barnum”che va in scena due volte alla settimana al mercatino della Mola.
I discendenti dei fricchettoni anni ’70, un misto incalcolabile di emuli con tanto di bancarelle e di cianfrusaglie provenienti dal Sud America, dall’India e dalla Tailandia, comparate a due lire e rivendute a caro prezzo, hanno trovato il modo di dilettarsi con i “lettori” delle carte di credito di mezzo mondo. E’ proprio il caso di dire, sono solo affari loro. Tuttavia, ad appena a due passi dall’altura de El Pilar de la Mola, dove si trova la Macao dell’isola da godersi tutti i giorni per riconoscerne l’essenza, tranne per l’appunto la Domenica e il mercoledì (a chi piace un clima plasmato sull’esigenza del mercantilismo liberoscambista, racchiusa in una biosfera in miniatura, è ben accetto), troverà di suo gusto una visita al piccolo villaggio di pescatori Es Calò. Un posto tranquillo dove il romanticismo e la bellezza autentica, condita dalla poca chiassosità dei bagordi d’agosto, soprattutto a tarda sera e in prossimità del suo porticciolo, riesce ancora a stupire per gli echi lontani e per i ricordi di tante vite votate al mare. Al nostro mare. Pochi ristoranti ma buoni, e una passeggiata per fortificare la memoria di una parte del romanzo di Jules Verne “ Hèctor Servadac”, in cui è menzionato il faro de la Mola.
Un’interminabile salita immaginaria, lungo i suoi 120 metri di scogliera, per riconquistarci la quiete necessaria. L’alba e i tramonti, segnati da un rito meccanizzato in un’attesa che tutto concerne. Principalmente, il congiungimento con l’anatema superfluo di una foggia nuova che ne usurpa, a suon di aperitivi, l’incantevole riconoscimento. Concludendo, la riscoperta di un’ isola d’Europa che nonostante l’apparente desertificazione da cartolina glamour, conserva intatti piccoli frammenti di noi. Costumi e società, permettendo.