Secondo l’ultimo sondaggio Demos di “Repubblica” Forza Italia cresce nel consenso degli italiani e risorpassa la Lega (12,5 contro il 13,2% degli azzurri) , Fratelli d’Italia sfonda il 4,5% aumentando di un punto rispetto al mese scorso, Ncd resta nella palude dell’alleanza improduttiva. Sulla base di questi dati il centrodestra, grazie all’Italicum con gli sbarramenti, il listone unico e il ballottaggio, sarebbe a un passo dalla maggioranza, mentre il consenso del Pd scenderebbe sotto il 32%, con il M5s al 27,2%.
Tra i leader politici dietro a Matteo Renzi, valutato positivamente ancora dal 42% degli intervistati, c’è Giorgia Meloni, più popolare del partito che guida; a seguire Matteo Salvini, leader della Lega, che ottiene il gradimento del 33% dei cittadini; Luigi Di Maio e Beppe Grillo, i portavoce del M5s, sono al 31%; Silvio Berlusconi al 26%.
Fin qui i dati del sondaggio. Tutto bene allora per il centrodestra e per i partiti che lo compongono ? In realtà sarebbe un errore per quel versante sedersi sui … sondaggi. Non solo perché – come scriveva Guido Ceronetti – “i sondaggi e le statistiche hanno sostituito gli oroscopi, ma hanno valore e probabilità uguali”. Sondaggi o meno, il centrodestra ha ancora da affrontare e risolvere alcuni problemi “strutturali”, quegli stessi che, nell’ultimo quinquennio, ne hanno appannato l’immagine ed eroso lo spazio politico.
Vediamoli – in sintesi.
C’è intanto il problema della leadership. Alla somma potenzialmente vincente dei vari partiti che concorrono a costituire il centrodestra non corrisponde una chiara ed univoca leadership nazionale. Chi sarà a guidare la coalizione ? Con quale legittimazione politica ? Si vuole imboccare finalmente la via delle primarie ? Fino a quando Forza Italia può continuare a vivere di cooptazioni, evitando i congressi, l’elezione dei dirigenti, la conta delle tessere ?
Seconda questione: intorno a quali idee-guida il centrodestra e il leader o la leader di riferimento svilupperà la sua proposta programmatica ? Non bastano le generiche proposte sulle tasse (oggi surrogate da Matteo Renzi), la lotta all’immigrazione o il “prima gli italiani” per “fare una politica”, per riuscire cioè ad enucleare e a rendere concreta una proposta programmatica in grado di rimettere veramente in sesto l’Italia. Per riuscire in questo occorre individuare luoghi e modalità di elaborazione: fondazioni, think tanks, centri studi. Il centrodestra non ne è completamente sprovvisto, quello che però sembra mancare è un costante ed organico rapporto tra i luoghi di elaborazione ed i politici in senso stretto. Il risultato una sorta di dialogo tra sordi: tra chi, da una parte, studia ed analizza e chi dovrebbe tradurre in atti politici concreti queste elaborazioni.
C’è poi bisogno, terza questione, di nuove classi dirigenti, di presenza sul territorio, di organizzazione, perché certamente il consenso passa oggi dall’esposizione televisiva, ma è anche capacità di radicamento, di dialogo con il Paese reale e con i ceti produttivi e professionali. Questo rapporto sembra essersi smagliato. Sia per gli errori compiuti in passato, sia per l’indubbia “effervescenza” renziana.
Il risultato è che, oggi, il centrodestra appare più una bella somma di numeri, potenzialmente vincenti, che l’espressione di un’autentica volontà politica, in grado di enucleare una nuova volontà di cambiamento. Ed in politica non è la somma (dei sondaggi) che fa il totale.