La propaganda culturale Lgbtq+ (o come si vogliono definire) è a sua volta un sottoinsieme di un programma di ridefinizione identitaria e culturale che si chiama “cancel culture” che non risparmia più nulla, dai classici di Hollywood alla canzone comico-demenziale “La gallina” del mitico duo, Cochi e Renato. Ci sarebbe da ridere se in realtà la questione non fosse drammaticamente tragica. Un razzismo al rovescio, l’intolleranza dei tolleranti, che finiscono per danneggiare anche se stessi (non a caso alcuni gay hanno criticato il testo della legge Zan).
Contrappongo all’egemonia della dittatura del politicamente corretto, un esempio esattamente opposto, quale, Thomas Mann, uno dei più grandi scrittori del Novecento, che aveva tendenze omosessuali. Per decenni, il “gramscimo globale” non si è limitato a imporre un’egemonia cultuale di artisti, intellettuali e pensatori esclusivamente comunisti o progressisti, ma ha operato anche un’azione di annientamento di qualsiasi forma culturale che non fosse allineata con quella progressista. Con tre strategie: o negando valore all’artista-intellettuale non allineato, o censurandolo, o edulcorandolo, annoverandolo così al proprio Pantheon ideale. Per cui hanno avuto gioco facile far passare Thomas Mann, antifascista e omosessuale, per un intellettuale di sinistra, quando invece non lo fu mai.
Mann, fu sempre nazionalcoservatore e basta leggere le sue opere (e capirle) per evincerlo. Se per un periodo della sua vita si trovò costretto ad avvicinarsi al socialismo (mai al comunismo), fu come reazione all’insorgere del nazismo, che pure in un primo momento lo incantò e ingannò. Ma lo scrittore tedesco fu sempre un conservatore decadente, anche quando, per necessità, fu costretto ad auto esiliarsi nel fronte progressista. Lo stesso “Der Tod in Venedig” (La morte a Venezia), del 1912, capolavoro assoluto della letteratura novecentesca, dal quale il regista italiano, marxista e aristocratico Luchino Visconti trasse lo struggente e bellissimo film “Morte a Venezia” del 1971, è un manifesto di esaltazione dei valori conservatori, e questo, nonostante il tema trattato ruoti attorno alla contemplazione più o meno platonica, ma certamente omosessuale di Gustav von Aschenbach, un uomo cinquantenne, nei confronti di Tadzio, un adolescente bello, tale e quale a un’antica scultura greca.
A unire il regista ex partigiano e comunista Visconti allo scrittore nazionalcoservatore Mann, oltre alle tendenze omosessuali, c’èra la forte passione per il decadentismo. Ma il decadentismo è un’estetica conservatrice, perché fonda le sue basi sulla nostalgia per epoche passate e valori perduti. Anche Visconti, se non avesse vissuto il fascismo, sarebbe stato sicuramente un conservatore, lo testimoniano molti suoi film come “Il Gattopardo” tratto dal romanzo reazionario di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, o la sua ultima fatica cinematografica “L’innocente” ispirata, seppur in modo infedele, da un poeta e scrittore nazionalista e proto-fascista come fu d’Annunzio. Ma per restare a “Morte a Venezia”, se nel romanzo la tematica omosessuale è appena accennata, nel film di Visconti è fortemente accentuata. In entrambi i casi sono capolavori artistici, ma trattano l’omosessualità in una maniera completamente diversa da com’è trattata oggi, al punto che non mi stupirei se presto la “Cancel Culture” bollassero romanzo e film come “omofobi”, e ne chiedessero il rogo, quando alle epoche nelle quali uscirono, destarono invece scandalo per le ragioni opposte.

Perché Aschenbach vive la propria omosessualità come “tentazione” che egli cerca disperatamente di reprimere, sforzandosi di aggrapparsi a dei valori etici borghesi, ormai al tramonto. Il decadentismo è l’estetica del tramonto, ma dopo quel tramonto v’è una nuova aurora: Tadzio non è solo il “Nuovo Mondo”, ma è un Ritorno a un Mondo della Tradizione più antico, più lontano, un aggancio a quella civiltà classica greco-romana e a quei valori puramente aristocratici, pagani e precristiani. Non a caso il pensiero di Mann era una mediazione dialettica tra il pessimismo di Schopenhauer e il nichilismo attivo di Nietzsche. La teoria dell’Eterno ritorno (che sarà poi ripreso e ampliato da Evola, come ne “Rivolta contro il mondo moderno”), indica come unica via di uscita dalla crisi del mondo moderno (borghese e cattolico), non con il suo superamento verso un’Era atea e materialista come promette il marxismo in una visione lineare e progressiva della storia, bensì come un ricongiungersi in senso circolare all’Inizio, all’Età dell’Oro, all’Eden, quindi a un ritorno a una civiltà neoclassica e neopagana.
Non a caso Tadzio appare quasi come un kouros (in greco κοῦρος), un efebo che mette in crisi i valori di riferimento di Aschenbach, e lo sprofonda in una regressione socratica precristiana. È la borghesia che è in crisi, ma se Marx indica come via di fuga il superamento delle suddivisioni in classi sociali, Nietzsche insegna all’opposto il ritorno a una suddivisione tra aristocratici e plebe. Aschenbach scopre che la vera bellezza si raggiunge attraverso i sensi e non sublimandoli, ma per lui questo “salto generazionale” è impossibile; egli è “sospeso” tra il Vecchio Mondo e il “Nuovo Mondo”.
Ma la potenza del discorso di Thomas Mann è che l’omosessualità viene comunque vissuta come “deviazione dalla norma”. Che sia “peccato”, o “concupiscenza” come la definiva Platone, si tratta ad ogni modo di “trasgressione” e non di “libertà”. Questo è il salto quantico (mi si passi il termine) tra progressismo e conservatorismo. Per il progressismo, la “norma” non c’è, tutto è lecito, ed è vietato vietare come pontificavano nel Sessantotto. L’unica norma è quindi la libertà sconfinata da qualsiasi regola etica e sociale. Per il conservatorismo, la “norma” c’è, ed è l’etica, e alla “libertà” contrappone la “trasgressione”, che non sarebbe tale se non vi fosse una regola da trasgredire. E trasgredire qualcosa di proibito, è più piacevole e persino più liberatorio di compiere un’azione solo perché è lecita.
Perciò la trasgressione è “l’eccezione” che infrange la regola, e che è insita in ogni individuo perché fonda il principio sul suo libero arbitrio, e perché a differenza dell’utopia socialista, il pragmatismo conservatore non immagina un uomo e una società future perfette, ma li vede per quello che sono, imperfette e fallibili. L’etica conservatrice, coltiva la tensione verso l’ideale, non s’inganna nell’idea di incarnarla, altrimenti l’ideale si trasforma in tirannide. Se in “Morte a Venezia” l’omosessualità è solo “contemplata” e mai consumata, passando dall’arte alla realtà politica, Mann non è solo un grande intellettuale di destra, ma può e dovrebbe essere un punto di riferimento per l’omosessualità pensata, sentita e vissuta da destra.
A parte i danni etici, pedagogici e sociologici provocati dalla “cancel culture” applicata alle tematiche omosessuali, vi è un danno all’omosessualità stessa, un tempo vissuta come “eccentricità” (spesso associata a sensibile intelligenza, gli esempi nella storia non mancano), e degenerata oggi in “normalità”, quasi “banalità”. È qui l’errore, il voler “regolarizzare la diversità” (o negarla), fino a omologarla in un unico schema di pensiero che è la dittatura del Pensiero Unico. Se il marxismo, un tempo sognava il superamento della famiglia, oggi i loro eredi, progettano di estenderla anche agli omosessuali, andando contro regole naturali e divine. Oltre al danno etico, si svilisce la peculiarità dell’omosessualità.
Un tempo essere “diversi” (qualsiasi fosse la forma di diversità), era un vanto, un modo per non appartenere al gregge. Oggi la diversità viene livellata, e omologata alla normalità. In questo gli eredi del comunismo sono coerenti con il loro passato storico: il loro nemico è sempre stata la diversità, la peculiarità, la distinzione, l’individuo, il non appartenere a un unicum. È questa la grande differenza tra Destra e Sinistra. Il “reazionarismo progressista” ci sta togliendo anche il gusto della trasgressione, perché quando tutto sarà lecito, non ci sarà più nulla da trasgredire, e ogni cosa sarà priva di attrazione.