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Per non dimenticare Genova. United horrors of Benetton

di Eugenio Pasquinucci
3 Settembre 2018
in Home, Società&Tendenze
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Per non dimenticare Genova. United horrors of Benetton
       

 

 

I Benetton vivono in bellissime ville, circondate da alti muri e robusti cancelli.

I Benetton sono tanti, belli, sorridenti, hanno folte chiome e portano occhialini che sprigionano saggezza.

Hanno cominciato dal basso con tante idee e spirito di sacrificio , pezzo su pezzo hanno costruito un impero, tanta gente ha lavorato per loro.

Ora hanno un grande chalet a Cortina, come si conviene ai ricchi ; hanno organizzato una mega festa per ferragosto, come ogni anno. Ma è crollato un ponte a Genova, un viadotto dell’Autostrada, ci sono dei morti e loro sarebbero i proprietari , quindi tra i responsabili della sciagura.

“Ma come si fa a rinviare la cena ? Pensa che Chicco è arrivato ieri da Santa, ha perfino rinunciato ad un aperitivo a Portofino !”

“E Sveva, ha finalmente trovato la tata per Manfredi e Chantal per tutto il week end, per essere libera di venire!”

“Hanno fatto bene a non sospendere la festa ! Non si può interrompere una così bella serata!”

Decine e decine di persone hanno interrotto i loro sogni , le loro speranze di una vita, per sempre.

“Hai assaggiato le capesante ? No ? Prova anche le tartine al salmone !”

Intanto sotto la luce delle fotocellule i vigili del fuoco scavano, tolgono macerie , allertano l’udito per captare anche un flebile suono di voce, si insinuano tra fenditure di cemento per raggiungere un relitto di un’auto.

Anche nell’aprile 2013 a Dacca , nel Bangladesh, c’era chi scavava a mani nude, disperatamente , tra le rovine di un edificio crollato ; migliaia di operai tessili intrappolati nel cemento, 377 morti, ma c’è chi dice di più. Quei lavoratori da giorni sentivano strani rumori, sinistri scricchiolii, avevano paura ad entrare in fabbrica. Ma non avevano scelta, senza quel misero guadagno, l’equivalente di un euro al giorno, a casa non si mangiava. Poi tutto è crollato come un castello di carte, tra le macerie un maglioncino azzurro ,con l’etichetta verde, emergeva dalla polvere.

Per giorni il silenzio della famiglia Benetton, come a Genova.

Poi hanno iniziato a difendersi, affermando che il lavoro l’aveva preso una ditta subappaltatrice, loro non c’entravano. Ma quando sai che la paga in quei paesi lontani è di un euro al giorno, non ti sorge il sospetto che anche le condizioni di lavoro corrispondano a livelli così infimi?

Che non esistano concetti base come la sicurezza, l’igiene, le assicurazioni sugli infortuni ? E non approfondisci ? Non intervieni ?

Con un euro al giorno non ti puoi nemmeno permettere il passaggio su un barcone per raggiungere l’Europa, quella è roba per benestanti.

“Un bicchiere di Prosecco ? Guarda, bello fresco va giù che è un piacere !”

Anche il ponte è andato giù, con fragore.

Quella sera la polizia a Genova provvedeva a far evacuare centinaia di abitazioni, seicento persone costrette a lasciare le loro case, la maggior parte per sempre.

Anche nel 1991 , nella lontana Patagonia, migliaia di uomini erano costretti a sfollare dalle loro terre natie, erano i Mapuche, che occupavano una vasta zona di terre, al confine tra Cile ed Argentina. A cacciarli da casa era la polizia , su richiesta dei Benetton, che avevano acquistato 900.000 ettari di praterie come pascoli per allevare migliaia di capi di pecore e montoni, per fare lana per i loro maglioncini colorati, per tutti i bambini del mondo, senza distinzioni di razza e di etnia.

Sì quei bambini multietnici dei manifesti di Oliviero Toscani, l’ar-lecchino servo dei suoi padroni ; non i bambini turchi che lavoravano nel 1998 a 132.000 al mese per fare giubbotti e pantaloncini colorati , quelli , è ovvio, non contano.

Non c’è bisogno di scomodare i grandi filosofi del tardo ottocento, quelli che promettevano paradisi ai lavoratori sfruttati ; mi basta il buon Menenio Agrippa che nell’antica Roma spiegava che è vero che lo stomaco è pigro ed aspetta solo che le mani, la lingua ed i denti gli portino del cibo, ma senza quel cibo le mani, la lingua ed i denti deperiscono.

I Benetton hanno avuto l’ingegno, lo spirito di iniziativa, per lanciare un’attività imprenditoriale ai suoi tempi vincente , ma senza i tecnici e gli operai che ogni mattina si alzavano per andare a lavorare, che facesse buio e freddo d’inverno, caldo e afa d’estate, non sarebbero andati da nessuna parte. Oggi gli operai che lavorano per Benetton in Italia, rappresentano circa l’1% dei loro dipendenti. Sono stati scaricati, a favore della delocalizzazione, del mercato globale.

Con tutto il fatturato che arriva, ora da operazioni finanziarie eticamente molto discutibili, i Benetton avrebbero potuto mantenere attività in loco per i loro operai, per dare lavoro ai propri concittadini, un’azione simbolica.

Questo per un valore che si chiama riconoscenza, che non è quotato in borsa, ma negli animi della gente.

Oggi quei muri e quei cancelli attorno alle ville potrebbero non servire, ci sarebbero le maestranze a difendere i Benetton, bravi imprenditori che danno lavoro alla loro gente.

Ma la riconoscenza è finita tra le tante macerie che si sono trascinati dietro, ed ora occorrono muri ancora più alti e cancelli sempre più robusti.

Tags: ArgentinaautostradeBangladeshBenettonGenova
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