Dobbiamo veramente smetterla con i luoghi comuni. Specialmente con quello, che ogni tanto ci scappa dalle labbra, secondo il quale: “i comunisti non cambiano mai, sono quelli di sempre”.
Probabilmente questo concetto valeva per gli ultimi 90 anni di storia, ma oggi è proprio scaduto come un panettone a Ferragosto.
Non ci credete? Beh, lo dimostriamo con quanto è accaduto in questi giorni a Milano, all’ombra della celebrazione della data della morte di Ramelli e Pedenovi. I sostenitori dell’arzilla vitalità del luogo comune di cui sopra hanno parecchie carte da giocare. Infatti, da settimane, la sinistra extraparlamentare e, diciamoci la verità, pure quella parlamentare ha starnazzato sugli organi di stampa, nei consigli di zona, comunali, provinciali e regionali sostenendo che tale celebrazione ed il corteo – che si fa da una vita – non dovevano esserci.
La Milano antifascista più viva che mai (dicono loro) si ribellava all’ipotesi di commemorare un ragazzo di 17 anni ucciso a colpi di chiave inglese sotto casa mentre parcheggiava il motorino ed un consigliere provinciale del MSI, padre di famiglia, raggiunto da vari proiettili mentre usciva di casa e si recava al lavoro. Tutti e due, manco a dirlo, ammazzati dai rossi. Da quelli di sempre: i comunisti.
Comunisti sotto varie forme e nei decenni cangianti come un camaleonte nella savana, ma pur sempre comunisti. Quelli che al solo sentirli parlare e ragionare (si fa per dire), fanno saltare subito alla memoria i trinariciuti di Giovannino Guareschi.
Quindi, dal punto di vista dialettico e politico, i rossi ed i rossastri della nostra città sono quelli di sempre. Quelli delle Radiose Giornate della “Liberazione”. Quelli, come Togliatti, che durante il fascismo si ritirarono nei comodi ozi moscoviti a recitare la parte di untuosi sagrestani del potere di Stalin. E quelli che, al congresso di Livorno, fecero fuori il fior fiore dell’intelligenza socialista, Mussolini compreso, pur di dimostrare a se stessi in modo adamantino che nella vita bisogna essere coerenti. Anche quando si è irrimediabilmente stupidi.
Ma, anche se tutto quanto abbiamo scritto dimostrerebbe la ragione, diamo torto al luogo comune. Infatti, i partecipanti alla canea urlante, dopo aver detto che la manifestazione non si doveva fare, che avrebbero fatto la contro-manifestazione, che avrebbero impedito ai fascisti di sfilare in corteo, si sono irrimediabilmente trovati a fare i comunisti del guareschiano “contrordine compagni”. E così naufragare nel ridicolo e nell’indifferenza generale.
La contromanifestazione, minacciosa e virulenta nelle premesse, è miseramente finita con la presenza di qualche blindato di annoiata polizia in una piazza del centro milanese. E nel disinteresse totale verso le loro idee ed i loro slogan.
Le falangi antifasciste, pronte alla pugna per impedire che la città medaglia d’oro della resistenza venisse per la 39ª volta oltraggiata dai fascisti che commemoravano due fascisti, si è ridotta ad una ridicola farsa di muti leccapiedi dell’attuale potere.
E nemmeno si sono accorti che, mentre i loro starnazzi non salivano al cielo, il loro capo morale, il sindaco arancio-Pisapia, tomo tomo, pur senza fascia tricolore (come diceva Manzoni, il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare) si è recato nel pomeriggio del 29 aprile alla stele che ricorda Sergio Ramelli ed ha deposto una corona a nome del Comune.
Quindi, i poveri sinistri, alla fine si sono trovati più bastonati che mai. Bastonati moralmente da quella sana destra che dovrebbero solo invidiare. Bastonati pure dal loro capo arancione che, dopo anni, ha capito che la storia e la coscienza collettiva delle sue balcaniche idee se ne fanno un baffo. Bastonati dal disinteresse della popolazione nei confronti della loro manifestazione.
Al contrario, il popolo di destra, ha invaso le vie limitrofe a casa Ramelli con un corteo ordinato, silenzioso che non ha dato adito a nulla, se non al ricordo dei morti che si volevano commemorare.
Ma un corteo ancora più bello, perché pieno zeppo di ragazzi. Un corteo, dove, finalmente, i vecchi militanti del glorioso MSI, quelli che non sono mai mancati una volta a questo appuntamento, con enorme piacere si sono sentiti in minoranza. Una minoranza numerica, ovviamente, non certo una minoranza di idee, di ideali e di coscienza politica.