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Home Economia

Per una nuova stagione sociale. L’Europa si ricostruisce partendo dal lavoro e dalla partecipazione

di Mario Bozzi Sentieri
11 Luglio 2021
in Economia, Home
1
Per una nuova stagione sociale. L’Europa si ricostruisce partendo dal lavoro e dalla partecipazione
       

L’Europa non è solo identità e profonde radici spirituali.  C’è anche un’Europa sociale e del Lavoro con cui è necessario fare i conti. Particolarmente oggi, in anni di crisi “globali”. E’ un’Europa che viene anch’essa da lontano, da esperienze importanti ed insieme da grandi elaborazioni culturali e sociali, che vanno ben oltre i secoli trascorsi. E’ Storia di relazioni e di valori condivisi, all’interno di una ben salda visione della vita del mondo e delle istituzioni che intorno ad essa si sono affermate, espressioni dell’idea – per dirla con Louis Dumond (Homo aequalis. Genesi e trionfo dell’ideologia economica) – che   “Nella maggior parte delle società e in primo luogo nelle civiltà superiori o, come dirò più spesso, nelle società tradizionali, i rapporti fra gli uomini sono più importanti e hanno un valore più alto dei rapporti fra gli uomini e le cose. Questo primato è capovolto nel tipo moderno di società, dove invece i rapporti fra gli uomini sono subordinati a quelli fra gli uomini e le cose”.

Le corporazioni sono l’espressione più matura di questa “visione”. Alla corporazione medioevale appartenevano  non solo gli artigiani produttori ma anche le università, le camere dei mercanti, le compagnie, perfino le confraternite e i monasteri. L’esercizio di ogni mestiere era oggetto di una minuziosa “regola”, che garantiva l’equilibrio e la tenuta dell’organo, tutelando il rapporto tra apprendisti e maestri, sorvegliando la buona esecuzione del lavoro e punendo le frodi, aiutando i suoi membri anche in viaggio e nei periodi di disoccupazione.

Intorno a questi principi si innerva un’epoca e trovano ragioni d’essere le genti europee, senza che questo precluda spazi all’innovazione tecnico-scientifica.   Del resto, alla Chiesa, e in particolare ai monaci, si devono eccezionali innovazioni tecnologiche nell’architettura, nella tessitura, nella metallurgia, nell’incisione, nelle tecniche agricole (dall’ aratro pesante al sistema dei tre campi al posto dei due campi dell’antichità classica), nella meccanica e nella misurazione del tempo. E’ lungo l’inventario dei trattati, elaborati a partire dall’Anno Mille, di medicina, matematica, astronomia, alchimia, architettura, geometria.

Scompaginato dalla Rivoluzione borghese dell’89, questo ordine sociale trova nuova legittimazione grazie alla  Dottrina Sociale della Chiesa, fissata nell’enciclica Rerum novarum (1891) di Leone XIII, nella quale strumento essenziale per ricostruire la coesione sociale e la collaborazione tra le classi sono le associazioni o corporazioni operaie, nuovamente tutelate  dallo Stato, ordinate e governate “… in modo da somministrare i mezzi più adatti ed efficaci al conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico, morale”.

Poi arriverà, nella Fiume dannunziana (1920), la Carta del Carnaro, il progetto volto a liberare il lavoro dall’ “ansito penoso e il sudore di sangue” per ricondurlo a un senso di “virtuosa gioia”, in cui esso diventi bellezza e ornamento del mondo, perché “la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà”.

Cuore sociale della Carta del Carnaro la funzione pubblica delle corporazioni, che – come afferma l’art. XIII – concorrono, insieme ai Cittadini ed ai Comuni, a formare le basi costituzionali della Repubblica e che, unitamente alla Camera dei rappresentanti (“Consiglio degli Ottimi”, eletto a suffragio universale) , esercitano il potere legislativo, attraverso il Consiglio economico (“Consiglio dei Provvisori”, a base corporativa, cioè attraverso le diverse categorie lavorative).

Ed ancora, nel 1927, la Carta del lavoro base del Sistema corporativo, fissato  intorno ai seguenti termini:  Nazione, Stato, Lavoro, Lavoratore, Sindacato. La parabola dell’idea corporativa è segnata, durante la Repubblica Sociale Italiana (1943-1945), ultima spiaggia di un’Idea tornata alle origini rivoluzionarie, dal tentativo di rompere il dualismo lavoratori-datori di lavoro all’interno delle imprese. Con la socializzazione lavoro e capitale vengono pariteticamente rappresentati all’interno dei luoghi di produzione, attraverso il Consiglio di Gestione, espressione per metà di membri scelti fra i soci e per metà di rappresentanti dei lavoratori, e il Capo dell’impresa, responsabile di fronte allo Stato della condotta economica del complesso produttivo, della sua disciplina interna e del suo inserimento nel quadro dello sforzo produttivo nazionale.

La stessa Costituzione italiana è debitrice dell’Idea Partecipativa. L’articolo 46 – ancora inapplicato – recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Al di là dell’esperienza italiana, tutta la Storia europea è permeata dalle aspettative di un Umanesimo del Lavoro, in grado di affermare – come scriveva il belga Henri De Man, teorico del planismo – un fronte comune di tutti gli strati sociali produttivi. E’la visione sintetica del sindacalismo soreliano, impegnato a costruire una nuova aristocrazia del Lavoro, “con la missione di modificare il mondo, cambiandone la valutazione morale”.  Sono anche le aspirazioni del distributismo, di scuola inglese, teso a favorire la diffusione della proprietà dei mezzi di produzione e della casa. E’l’idea “pancapitalista” di Marcel Loichot, condivisa, negli Anni Sessanta, da Charles de Gaulle. E’ il progetto di Adriano Olivetti finalizzato a coniugare attività produttiva, comunità e territorio, laddove la fabbrica-mezzo non è solo dispensatrice di profitti, ma anche di cultura e di servizi ed è la base di un’idea nuova di Stato.

Può, oggi, l’Europa dimenticare questa stratificata tradizione sociale e culturale? Non è, piuttosto, doveroso trasferirla nei nuovi contesti socio-economici, farne la base per aggiornate ed ardite elaborazioni pratiche e teoriche ? Il futuro ha un cuore antico e mai come nel campo del lavoro il “cuore pulsante” di una grande Storia può imprimere forza ad una stagione sociale impegnata a dare nuovo valore ai rapporti fra gli uomini e nuovo senso al mondo della produzione. La strada è lunga, ma la sfida affascinante. Importante è discuterne. Soprattutto crederci, sconfiggendo ogni deleterio fatalismo.

Tags: economialavoropartecipazione
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Commenti 1

  1. Mario Pisciotta says:
    2 anni fa

    No non credo che succederà a breve quanto descritto nell’articolo: in Europa e in tutto l’Occidente abbiamo un problema molto più grande da risolvere. Un giorno ci siamo raccontati che era bello il mercato unico, la libertà di movimento dei lavoratori e delle aziende. Adesso siamo in un mercato globale, dove il mercato UE viene dopo quelli di Usa,Russia,Cina,India e la brexit lo sta mostrando a chi non lo sapeva, stanno stringendo accordi con mercati più grandi, era scontato che succedesse. Dall’altro lato la libertà di movimento dei lavoratori è fittizia: un lavoratore non ha le risorse di un imprenditore se si sposta è in via definitiva lasciando patria, famiglia, radici. E in tutto questo finto sogno però non abbiamo pensato a regolamentare i rapporti lavorativi, e così sono diversi in tutto il pianeta: vince chi più sfrutta i lavoratori, in primis la Cina che anche col lavoro regolare spesso adotta il modello “996” L’Occidente non sa ancora come reagire: Trump provò coi dazi ottenendo poco, Biden è da quando si è insediato che cerca di creare un’immagine cattiva della Cina ma ancora non ci è riuscito e in ogni caso se il prodotto cinese costa meno il consumatore compra quello senza chiedersi cosa c’è dietro- Prima di arrivare alle corporazioni è assolutamente necessario una riforma a livello planetario altrimenti noi diventeremo sempre più poveri e i Paesi che sfruttano i lavoratori sempre più ricchi!!

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