E’ un vero peccato che una certa dose di approssimazione e/o di superficialità abbia in parte vanificato l’importanza e l’utilità della riflessione proposta dal Presidente del Senato Ignazio La Russa sull’attentato partigiano in Via Rasella.
Avere definito il 3° Battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, obiettivo dell’attentato del 23 marzo 1944, “una banda musicale di semi pensionati” ha fornito alla canea delle rumorose, scomposte e strumentali polemiche puntualmente scatenatesi dopo le parole di La Russa un comodo argomento per screditarle distogliendo l’attenzione dall’altra parte della dichiarazione, quella sulla quale sarebbe giusto riflettere: “Via Rasella è stata una pagina tutt’altro che nobile della resistenza”. La banda musicale di semi pensionati era in realtà un battaglione ausiliario di polizia formato da altoatesini delle classi 1900-1912 inquadrati da ufficiali e sottufficiali tedeschi.
Erano stati reclutati nelle valli del Sudtirolo con un bando di leva del Gauleiter Franz Hofer, che dopo l’8 settembre aveva assunto anche il controllo delle provincie di Trento, Bolzano e Belluno (divenute la Operationszone Alpenvorland), che recitava testualmente: “Chi non ottempera all’ordine di presentazione, di visita o di chiamata o comunque si sottrae allo stesso o tenta di sottrarsi con la fuga […] viene punito con la pena di morte. Fino alla cattura dei rei o dei loro complici, possono essere arrestati i loro congiunti e cioè la moglie, i genitori, i figli sopra i diciotto anni e fratelli e sorelle che convivono col reo o complici.”
Armato ed equipaggiato con vecchio materiale italiano raccattato dopo l’armistizio, dopo un breve e sommario addestramento il 3° battaglione del Polizeiregiment era stato inviato a Roma con compiti di supporto, assegnato alla sorveglianza degli uffici dei comandi tedeschi, del Vaticano e di edifici pubblici.
Secondo il Generale Karl Wolff, comandante delle SS in Italia, “a causa della sua natura e per il suo particolare utilizzo [il Reggimento Bozen] figurava come unità non combattente”.
Era un obiettivo legittimo per un attacco? Come reparto nemico in una situazione di guerra asimmetrica certamente si. Era anche un obiettivo militarmente significativo, tale da giustificare un’azione come quella dei GAP romani? Valeva il prezzo delle 335 vite degli ostaggi uccisi alle Fosse Ardeatine, più le 33 degli Altoatesini del Bozen e le 2 accertate (ma forse di più) dei civili uccisi dalla bomba innescata da Rosario Bentivegna?
L’ANPI ovviamente non ha dubbi: “Il terzo battaglione del Polizeiregiment colpito a via Rasella mentre sfilava armato fino ai denti stava completando l’addestramento per andare poi a combattere gli Alleati e i partigiani, come effettivamente avvenne. L’attacco di via Rasella, pubblicamente elogiato dai comandi angloamericani fu la più importante azione di guerra realizzata in una capitale europea” ha dichiarato il suo presidente con il solito miscuglio di bolsa retorica e grossolana manipolazione della storia.
In quel marzo 1944 a Roma non mancavano certo obiettivi militari da colpire. Se avessero voluto compiere una vera azione di guerra i GAP avrebbero potuto, ad esempio, attaccare i reparti della 2° Fallschirmjäger-Division o il Fallschirmjäger-Bataillon Schirmer, le truppe scelte tedesche che occupavano militarmente a Roma, o magari il comando delle SS di Via Tasso, i più temibili nemici dei partigiani, tutti obiettivi militari ben più rilevanti degli impreparati coscritti altoatesini colpendo i quali avrebbero arrecato ai Tedeschi un danno ben maggiore sia sul piano militare che su quello simbolico e politico.
Giorgio Amendola, responsabile militare del PCI di Roma e suo rappresentante presso la giunta militare del CLN cittadino, considerato l’ideatore dell’attentato, dichiarò nel dopoguerra di aver scelto personalmente il “Bozen” come obiettivo avendo notato la ripetitività del suo percorso di marcia e la puntualità del suo passaggio ogni pomeriggio, ma non si può non pensare che nella scelta abbia avuto un peso determinate il fatto che si trattasse di un bersaglio facile e poco difeso che poteva essere colpito con pochi rischi per gli attaccanti.
Qualificato a tutti gli effetti come “atto di guerra” da tutti i tribunali, militari e civili, che se ne sono occupati, l’attentato di Via Rasella non ebbe in realtà nessun impatto nè consenguenze sulle operazioni militari, tantomeno arrecò alcun reale danno alle forze tedesche di occupazione.
La 11° compagnia del Polizeiregiment Bozen, l’unità colpita, era un reparto di riserva che in quel momento stava completando l’addestramento e non aveva compiti operativi, neppure quelli di blando supporto assegnati al resto del battaglione.
L’unica seria conseguenza dell’azione resta la rappresaglia ordinata personalmente da Adolf Hitler, che aveva ordinato di fucilare 50 ostaggi per ogni soldato tedesco morto, brutalmente eseguita dal tenente colonnello Herbert Kappler, comandante del SD, costata la vita a 335 prigionieri tra resistenti – quasi tutti azionisti, comunisti dissidenti del gruppo trozkista Bandiera Rossa (fortemente avversato dal PCI) e militari monarchici – ebrei catturati dalla Gestapo, detenuti comuni e cittadini rastrellati in via Rasella nell’immediatezza del fatto.
Guadagnandosi il disprezzo dei loro ufficiali tedeschi, che li definirono Feiglinge (codardi) i coscritti del Bozen, ferventi cattolici, si rifiutarono di partecipare alle esecuzioni contravvenendo alla regola delle forze armate tedesche secondo la quale in caso di attentato le vittime fossero vendicate da loro stessi commilitoni, fatto quasi mai ricordato. In definitiva, se è possibile qualificare formalmente l’attentato di Via Rasella come “atto di guerra”, sul piano sostanziale si deve convenire con Ignazio La Russa: non fu certo una pagina nobile della resistenza.
In tutte le guerre asimmetriche prima (in Irlanda ad esempio) e dopo la 2° Guerra Mondiale (Algeria e Vietnam ad esempio), il lavoro sporco è sempre stato inevitabile e ha sempre fatto parte, in qualche modo, delle regole del gioco.
Di solito, però, fatti del genere non sono oggetto di commemorazioni solenni, gli autori delle azioni non sono celebrati come eroi e, in linea generale, non sono considerate pagine particolarmente onorevoli.
Nel caso di Via Rasella, invece, una retorica esagerata e strumentale, la necessità di costruire la narrazione resistenziale e, soprattutto, l’uso politico della storia hanno trasformato un attentato terroristico (ammissibile nel contesto) in un eroico atto di guerra da portare come esempio, arrivando a decorare con Medaglia d’Oro al valor Militare i suoi autori e inibendo, se non proibendo, qualsiasi analisi dei fatti o qualsiasi tentativo di ricostruirli oggettivamente discostandosi dalla stucchevole narrazione omologata.
Come dimostrano le esagerate e scomposte reazioni alle parole del tutto condivisibili e tutt’altro che fuori luogo di Ignazio La Russa (senz’altro più coraggiose e significative di quelle, molto banali, pronunciate di Giorgia Meloni qualche giorno prima) versioni di comodo e manipolazioni continuano a coprire, come una coltre di bitume, i fatti storici impendendo la loro reale comprensione, una ricostruzione più utile ed obiettiva ed, in definitiva, la loro accettazione come storia e patrimonio comune.
Qualunque cosa dica La Russa sarà sempre oggetto di critica preconcetta, pregiudiziale, prevenuta. La Russa è odiato a prescindere da quello che dice, che ha detto e che dirà. Certo, una persona come lui che negli anni Settanta ha rischiato la vita è abituato a tutte le situazioni.
Quanto a via Rasella, basta leggere il libro di uno degli autori, Rosario Bentivegna, “Achtung Banditen”, per rendersi conto che l’azione eclatante venne preceduta da altre azioni ed attentati seppur minori che si verificarono nella Capitale.
Forse gli attentatori erano convinti che i tedeschi non avrebbero mai reagito?
Certo, sarebbe opportuno che prima di parlare ci si documentasse meglio per la conoscenza dei fatti; sinceramente quando il Presidente La Russa ha parlato dei militari periti a via Rssella come dei musicanti e pensionati la cosa mi è giunta nuova…
Ecco, prima di parlare, documentarsi anche attingendo da fonti avverse…
Dalla prima edizione di “Achtung Banditen” si capiscono tante cise a proposito di “quella pagina di storia”.