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Home L'Editoriale

Periferie: viaggio là dove non osano i dem

di Eugenio Pasquinucci
6 Aprile 2019
in L'Editoriale
0
Periferie: viaggio là dove non osano i dem
       

Oggi tanti soloni della nostra società discettano con supponenza di ogni cosa, siano essi politici, giornalisti, economisti o intellettuali, ma quanto conoscono costoro della realtà del mondo in cui viviamo?

Io credo che abbia diritto a parlare solo chi abbia vissuto almeno una di queste situazioni:

  1. Abbia effettuato almeno una trasferta su un treno pendolare tra le sei e le sette del mattino; in alternativa un viaggio in metro a Roma nelle ore di punta.
  2. Abbia trascorso almeno un’ora in sala d’attesa in un ambulatorio della mutua ad ascoltare il suo prossimo, possibilmente facendo una coda interminabile per pagare un ticket.
  3. Abbia partecipato ad uno dei seguenti giochi. Il primo : porre un quesito al telefono ad un funzionario dell’Inps, per tre volte per ottenere tre cortesi risposte diverse; vince chi sceglie quella giusta fra le tre. Il secondo : presentare un’impegnativa di uno specialista allo sportello Asl per prenotare un esame: vince chi supera indenne la prova senza essere rimandato indietro perché manca una parolina o un numerino.
  4. Abbia fatto visita ad un conoscente in una casa popolare in una periferia qualsiasi.

Per il punto 4 , se gradite, vi ci porto io adesso.

Mi reco ad una visita domiciliare in fondo al Giambellino, a Milano, che non è l’Inferno della periferia romana, ma potremmo definirlo almeno un Purgatorio.

Uso la bicicletta perché nella Milano del neo compagno Sala, trovare un posteggio è sempre una botta di lato B.  All’incrocio prima di arrivare in via degli Apuli, dove risiede la paziente, di fronte ad un bar è parcheggiata una fiammante auto sportiva decappottabile, carrozzeria color granata ed interni in pelle beige, ben visibili essendo al momento scoperta. Una macchina che oggigiorno solo uno spacciatore puo’ permettersi ed infatti una decina di ragazzi arabi l’ammirano tutt’attorno senza osare nemmeno  sfiorarla. Entro nel caseggiato della casa popolare e piazzo la bici di fronte all’entrata, chiudendola con una catena che costa quasi più del mezzo, marca Kriptonite, tanto per dire.

Il citofono non funziona, uno dei condomini, che non paga l’affitto da vent’anni, lo ha distrutto in un momento di intensa suscettibilità. Mentre salgo le scale noto con piacere che non si sente più quell’odore di piscio di gatto, caratteristico degli anni passati. Escludendo una maggiore pulizia, deduco che i simpatici felici siano migrati altrove, almeno spero.

La paziente , anziana, mi apre la porta, e subito, prima della visita, mi premette che non accetterà nessun ricovero, perché altrimenti al ritorno dall’ospedale troverà la sua casa occupata da qualche abusivo. Nel corso della visita mi racconta che trascorre le sue notti  sempre in preda all’ansia, perché le sue vicine, abusive, “fanno la vita”. Nell’altro appartamento di fianco qualche mese prima c’era stato un corto circuito perché qualcuno si era allacciato al contatore di un altro ; il problema era che in una stanza viveva un nonnetto attaccato alla bombola d’ossigeno, non c’era stata un’esplosione per miracolo. La signora mi spiega che un funzionario delle case popolari le ha proposto di acquistare l’appartamento, sarebbe un affare, con l’arrivo imminente della metropolitana il valore dell’immobile schizzerebbe alle stelle. “Ma chi se lo compra un appartamento, circondato da case occupate dagli zingari ? Questi immobili valgono zero!” è stata la sua replica.

Quando esco noto con sollievo che la bici è ancora al suo posto; la custode mi dice che l’ha curata tutto il tempo, ma la prossima volta mi suggerisce di agganciarla ad un’inferriata sul fondo.

Sulla strada due zingare, il termine rom viene usato all’interno della circonvallazione, dove abitano i “sciuri”, conversano amabilmente, una sul marciapiede , l’altra sul balcone di un appartamento al primo piano. L’auto di lusso è ancora posteggiata di fronte al bar, custodita dall’ammirazione dei ragazzi arabi del quartiere.

Raggiungo la più centrale piazza Napoli, qui è la sera che si anima di figure che suscitano strani interrogativi.

Per esempio ci sono due furgoni, targa Bulgaria, in cui, in entrambi, dopo una giornata di intenso lavoro, entrano un uomo ed una donna e non ne escono più, ed i due mezzi rimangono là posteggiati tutta la notte. D’altra parte il giardinetto accanto fornisce i servizi essenziali, perché non approfittarne, acqua corrente gratis dalla fontanella e dietro i muri del prospiciente acquedotto comunale c’è lo spazio confortevole per espletare i propri bisogni: al mattino infatti è possibile notare escrementi umani in una fila ordinata, lasciati indifferentemente da uomini e donne, senza i preconcetti divisivi della società borghese.

Sempre la sera è possibile vedere anziane signore con gonne lunghe appartenenti ad un’etnia di cui non conviene dire il nome, nascondere sotto le proprie macchine targate Romania, ruote di bicicletta. Se sembra difficile spiegare il perché di quell’azione, almeno si capisce come mai tante bici a Milano rimangano attaccate ad un palo, ridotte al solo telaio, scheletrite.

Una ragazza mi racconta che alle otto di sera, dopo aver posteggiato l’auto in un garage della piazza, è stata seguita da un uomo, che portava con sé una stampella, strumento indispensabile per il suo lavoro di mendicante, che non gli serviva per camminare meglio ma solo per esortarla a lasciargli il portafoglio. Fortunatamente la ragazza aveva un passo veloce ed è rientrata incolume a casa.

Ma l’episodio più scioccante mi venne raccontato da un paziente alcuni anni fa, un tecnico del Comune oggi in pensione. Costui era incaricato di dirigere le operazioni di sgombero di alcuni campi abusivi alla periferia della città, dove erano state erette alcune catapecchie molto fragili e pericolose nella loro instabilità. Dopo aver fatto evacuare tutte quelle precarie abitazioni, era pronto a dare l’ordine alla ruspa di abbattere quei fatiscenti tuguri. Ma al momento di dare il via ebbe come un presentimento, un sussulto di prudenza; volle sincerarsi di persona che non ci fosse più nessuno all’interno di quelle specie di case. Quando vi entro’ per un ultimo controllo , vide un neonato che dormiva , abbandonato in un angolo: nessuno lo aveva reclamato, nessuno venne ad abbracciarlo quando lo porto’ fuori, in salvo.

Da allora si porta addosso le stigmate di quell’episodio e ne soffre ancora a ricordarlo. Rimane convinto che l’abbandono di quel neonato fosse stato una trappola, per poter criminalizzare le operazioni di sgombero del Comune. Se si fosse realizzato quell’infanticidio la sua vita sarebbe stata tormentata dal rimorso, oggi fortunatamente c’è solo lo sgomento di a che punto possa arrivare la malvagità dell’uomo.

Ma non chiamate tutto questo barbarie, e nemmeno oscurantismo o cose da Medio Evo; quelle appartengono di diritto ai difensori della Famiglia Tradizionale, a quei diavoli del Family Day.

Tags: MilanoPartito Democraticoperiferieromsicurezza
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