Capita non raramente di esprimere valutazioni positivi sugli editoriali di Antonio Polito. Non pochi sono gli interventi opinabili ed abbondanti di riserve. Ad esempio la nota “Quelli che saltano la fila”, che censura vivacemente l’Italia del “Lei non sa chi sono io“, porta alla luce o meglio consacra – a detta di Polito – un sistema di antica origine, che seleziona per arti e mestieri, secondo il criterio medievale delle gilde”. Altro passaggio “E ancora combattiamo, pur dopo tante e dolorose riforme, con i residui di una giungla pensionistica che ha assorbito i due terzi della nostra spesa sociale”.
Per Polito “più che una democrazia, la nostra assomiglia come nell’antica Roma repubblicana ad una timocrazia [posizione giudicata in base alla ricchezza] “le teste non si contano, ma si pesano”. Per l’editorialista, tenendosi ancorato al presente, “con la rapidità e la facilità con cui si riesce ad accedere a diritti che dovrebbero essere uguali per tutti, è la nuova forma di “distinzione sociale”, il nuovo “habitus”, che indica la reale posizione di un individuo nella gerarchia, e ci consente di riconoscerne lo status, anche se veste e mangia come noi.
“Siamo così bravi a questo gioco noi italiani, e i poteri pubblici sono diventati così pronti ad assecondare, distribuendo vantaggi e protezioni alle singole categorie invece di perseguir l’interesse generale”. Ma oggi il vuoto fondamentale è rappresentato dal fallimento e dall’annullamento dei partiti, responsabili nel periodo del massimo potere, del clientelismo paralizzante e condizionante, dietro il quale la società, in cui “le persone contano di più e hanno in quanto membri” – possediamo correttamente la storia – di un partito (DC, PCI, PSI, PSDI o PRI) o di un sindacato (CGIL, CISL, UIL e Coltivatori Diretti). Ma in questo quadro il fallimento delle regioni e il mancato rispetto da parte loro, ieri ed oggi, delle regole della Costituzione stessa.
Come ha scritto giorni or sono Sabino Cassese, in alcune regioni (Veneto, Lombardia e Toscana) “sono state commesse clamorose violazioni delle priorità fissate in sede nazionale e si sono verificati gravi disservizi”. Il professore campano ha vigorosamente rilevato e insegnato che “regionalismo, riconoscimento delle autonomie, decentramento, non vogliono dire costituzione di repubbliche indipendenti. Quando l’obiettivo è nazionale e così drammatico, bisogna sapere cooperare, invece di alimentare orgogli regionali”. Non è davvero poco per ieri, per oggi e maggiormente per domani.