Nonostante l’immeritato consenso raccolto da un elettorato esasperato e disperato, il movimento , eufemisticamente ed elegantemente definito “pentastellato”, meglio e più realisticamente da etichettare come “grillino”, ha strappato la presidenza della Camera dei deputati con un tale, che risponde al nome di Roberto Fico.
Conquistata la poltrona di Montecitorio il tizio è stato sbertucciato dal foglio di casa Berlusconi per il suo passato, lavorativo grigio e carico di ombre, mentre dell’aspetto politico è stato rievocato il sostegno delle adozione e matrimoni omosessuali, dell’eutanasia e dello “ius soli” fino a giungere alla definizione di “comunista grillino”. L’”alato” intervento pronunziato è risultato simile nei toni, nell’enfasi demagogica e nell’ispirazione a quelli della Boldrini.
Innanzitutto primo ed eloquente passaggio è il rispetto degli “equilibri e dei valori costituzionali”, costruiti sul “sacrificio di tanti uomini e tante donne nella lotta contro il nazifascismo”. Non poteva quindi di soffermarsi con una sparata scontata in un uomo di quella fazione, fatta unicamente di idee confuse, velleitarie, dalla presa rapida quanto fragile , sulla necessità di un taglio e di una razionalizzazione dei costi della politica.
L’intensità, recte la banalità, del suo impegno è riassunto in 3 principi: “garantire un alto livello qualitativo della discussione parlamentare, garantire il rispetto di tutte le componenti, sia di maggioranza che di opposizione, interpretare lo spirito di cambiamento che i cittadini ci hanno espresso nelle ultime consultazioni elettorali”.
Il velleitarismo utopistico del verbo grillino si ritrova, esaltato e teorizzato, nelle 2 espressioni di epilogo. Per il napoletano “è solo ritrovando lo spirito di essere comunità di cittadini che possiamo recuperare il senso dello Stato che vogliamo incarnare […] E’ dall’individuo che bisogna ripartire”. Manifesta con una originalità al limite del geniale l’auspicio che “in quest’Aula ciascuno di noi porti avanti il proprio impegno, con la continua tensione al miglioramento, andando a superare persino l’espressione migliore di se stesso”.
E’ impossibile non dirsi perplessi del commento della Meloni. Se “era giusto riconoscere che in Parlamento ci sono forze, che hanno preso molti voti”, non era assolutamente obbligatorio ed indispensabile esprimere il proprio consenso e quello del proprio partito per un figuro siffatto dalle linee di comportamento (è bestemmia indicarle come idee) diametralmente antitetiche alle proprie. La Meloni ha poi confermato l’impegno per la realizzazione di un governo di centrodestra, “che faccia cose di centrodestra”, finora rimaste o tenute nel vago, nell’impreciso se non nell’utopistico.
Non è davvero limitato il numero dei cittadini da conquistare o meglio da riconquistare.