Confermando un’abitudine inveterata con questo volume di Carlo Guarnieri, Il sistema politico italiano. Radiografia politica di un paese e delle sue crisi, la politologia, procedendo come sempre in maniera lineare, non riempie e non esaurisce la complessità dei processi storici.
L’autore, ma il suo non è un caso isolato o sporadico, parte con “il piede sbagliato”. Un’analisi del sistema politico italiano “allo stesso tempo sintetica e completa”, non solo “non è impresa facile” ma è scientificamente problematica fino all’irrealizzabile.
Alcuni esempi di questo metodo cristallizzato , in sostanza schematico e quindi tutt’altro che esaustivo, valgono assai più delle interpretazioni e delle valutazioni. In base a norme codificate si pretende di individuare “nei primi anni unitari” un bipartitismo moderno con organizzazioni stabili e programmi “chiari e coerenti” mentre il quadro politico era ben più articolato e mosso.
Troppo semplicistico poi è il considerare “intransigente” l’opposizione della Chiesa nei confronti dello Stato unitario, esagerato, quasi reclamistico, reputare “rivoluzionario” l’atteggiamento del movimento socialista e “antisistema” il Partito Comunista, mente ovvio, banale e scontato, il parere sul fascismo solo e semplicemente “eversivo”.
Rimane francamente sorprendente, stupefacente e, per dirla con chiarezza, faziosa l’omissione di Napolitano , il caso più consistente, tra i presidenti della Repubblica, che “in situazioni caratterizzate da equilibri politici poco stabili, hanno svolto un ruolo autonomo, cercando di favorire o di ostacolare l’emergere di una determinata coalizione di governo”. Quale capo dello Stato – se lo sarà chiesto Guarnieri ? – si è mostrato capace di confezionare ed imporre un numero maggiore di governi extraparlamentari da Monti a Letta fino al capolavoro imperituro nei secoli del toscano?.
E’ da respingere l’idea, per molti addirittura il principio, del “radicale rinnovamento della classe politica” “premessa di qualunque tentativo di riforma”, come se i nuovi responsabili della “res publica” non potessero essere altro che marziani.
Il lavoro nella sua terza edizione è stato finito di stampare nel settembre 2016, nel pieno della campagna elettorale, condotta con strategie drammatizzanti, che enfatizzano la “svolta”, il “nuovo”, capaci di mobilitare una cittadinanza talvolta politicamente pigra”, in grado però di sfoderare il 4 dicembre una rabbia ed un fastidio tali da far giustizia delle tante chiacchere ascoltate, inconcludenti e prive di prospettive tangibili e realizzabili.
D’altro verso gli interrogativi e le perplessità sul peso scientifico del lavoro sono confermati e convalidati dalla denunzia sui “forti limiti del processo di unificazione nazionale: in particolare, il radicale deficit di integrazione, la difficoltà di mettere insieme un paese al suo interno profondamente diviso”, come se non avesse peso, valore e senso la cronica mancanza di sintesi.
Guarnieri nelle righe finali si arruola tra i “plauditores” dell’allora apparentemente imbattibile toscano. Anche con un pronostico subordinato all’esito ritiene che con le riforme più che “promosse” promesse dall’esecutivo “le nostre istituzioni saranno un po’ meglio attrezzate ad affrontare le sfide interne e soprattutto internazionali che il nostro sistema politico è destinato a fronteggiare”. Eppure ogni giorni reca cattive notizie (il persistente livello di povertà) e soprattutto contestazioni e confutazioni dell’azione governativa (la manifestazione di aperta insoddisfazione delle popolazioni colpite dal terremoto, totalmente abbandonate) . Guarnieri includeva sicuramente nelle cosiddette riforme l’Italicum, il famoso testo invidiato sinanche a Marte e destinato ad essere imitato dalle popolazioni della Papuasia, quasi totalmente affossato dalla Corte costituzionale.
E’ rimasta in piedi una norma, che, superandolo, ci riporta al passato: la legge elettorale, presentata da De Gasperi nel 1953, fu etichettata dalle opposizioni come “legge truffa”, data l’obiettivo di attribuire un premio di maggioranza alla coalizione, che avesse ottenuto il 50,01% dei suffragi. Il sinedrio dei saggi, capeggiati da Amato e Barbera, ha stabilito una assegnazione dei seggi (55%) alla lista con il 40% dei consensi. Se quella era “truffa”, questa quale nome merita? Sarebbe utile lezione storica rivisitare i dibattiti a Montecitorio del 1953, citando e riportando le valutazioni espresse dagli esponenti della sinistra, guidati dal “Migliore”.
CARLO GUARNIERI,
Il sistema politico italiano. Radiografia politica di un paese e delle sue crisi,
Bologna, Il Mulino, 2016,
pp. 138. Euro 11,00