Le solite ciarle stanno a zero. L’enciclopedia e la moltitudine di significati fonologici dati ad una parolina sin troppo abusata, “populismo”, da qualunque parte provengano, è chiara. Cosa ben diversa dall’esaltazione velleitaria e dal modus demagogico estrapolato dal popolo, senza attribuire ad esso l’unico depositario di valori totalmente positivi. Oggi, un tornaconto personale. Nel “senso stretto” del termine, non fa una grinza.
I limiti di diritto posti da un popolo, dovrebbero essere incondizionabili, presupponendo una volontà concorde, in ogni modo, del popolo. La centralità di una comunità-stirpe riesaminata, trova chissà perché, l’interesse inatteso dei massimi esperti della “pietra filosofale”. Marco Tarchi, politologo e osservatore della realtà italiana ed europea, corregge il tiro: dalle pagine del sito Linkiesta.it (http://www.linkiesta.it/grillo-top-secret) e dal titolo dell’intervista di David Allegranti, “I grillini che tradiscono fanno un errore madornale”, rendendo chiara la sua visione attuale del fenomeno.
Tuttavia, c’e’ da fare un distinguo tra les élites che esaltano il non popolo e quelle invece che lo hanno unito, anch’esse non scevre da pleonastiche attribuzioni e scambi di identità socio-elastiche a seconda di una tendenza del momento; vicina all’approssimarsi di un ipotetico trasbordo su di una sponda interclassista avvalendosi di proposizioni affascinanti ma contenute in un ampio scuoti ghiaccio. Il problema principale non è una tipologia di divulgazione del verbo politico “tossico”. La paccottiglia universalista si augura, evidentemente, oltre il neofascismo e oltre l’antifascismo, il salto della quaglia sulla sponda sbagliata?
Forse solo l’ampliamento di orizzonti che dei concetti di un possibile peronismo moderno hanno davvero ben poco. Una burla-burlesque estemporanea, d’oltralpe. Là dove le sperimentazioni sapienti, sono poi passate dalle applicazioni pratiche a una esperienza politica e vice versa, a differenza di un contesto come il nostro. Traducibile in Italia con un comodo seguire l’allargamento incondizionato invece che l’originalità profonda della propria esistenza.
Il popolo è sovrano? Nel 2010 Richard Roudier, il condottiero della Ligue du Midi (Lega del Mezzogiorno francese) neppure a dirlo, incarnava l’esatta trasposizione, l’emulazione personale di parecchie realtà della “Destra” europea. In Italia invece, Casa Pound su tutte, fu probabilmente l’unica a individuarne il punto focale (proprio dell’indole) senza troppi attorcigliamenti al drapeau français, ciò nonostante, senza tralasciare quello europeo. Una piccola e grande differenza: mentre la Lega di Roudier aspirava ad un regionalismo convinto, le tartarughe italiche compresero in anticipo l’importanza frontale delle località, quanto la facoltà di pensare ad un ecologismo che non mieta vittime illustri nell’innovazione e nello sviluppo, nell’ambito energetico, dell’industria e come i francesi, dell’anticapitalismo penetrante. “Le promesse non mantenute” dei regimi democratici giustamente citati da Tarchi, in via eccezionale sono una sbadataggine consentita? Prima di tutto dandogli un nome: occidentali. In questi ultimi anni purtroppo, la differenza netta tra un pensiero che scorre fluido sino a raggiungere l’obbiettivo e tutte le differenziazioni tra l’intellettualismo privo di ogni applicazione immediata, riprodotto dal complesso globale assorbente l’ingranaggio politico, etimologico, socio-culturale.
Una preferenza su tutte è Stefano Rodotà, il neo eletto del Movimento 5 Stelle alla corsa alla presidenza della Repubblica. Ecco le scelte “populiste” dalla voce del loro leader “justicialista” Grillo: “dopo la rinuncia di Milena Gabanelli, ho chiesto a Gino Strada che ha optato per la candidatura di Stefano Rodotà. Ho chiamato Rodotà che ha accettato di candidarsi e che pertanto sarà il candidato votato dal Movimento 5 Stelle”. Anche se lontani dalle lande russe, Baba Jaga è rude. Una strega russa che ruba la definizione corretta di populismo persino ai The Cranberries, gruppo rock irlandese, mistificando una delle loro canzoni, Promises. Una promessa mendace a chi visse sperando e morì ricostituendo un anatema che gira lontanissimo dall’individuazione delle nozioni base.
Il carattere sfavorevole che racchiude solo nell’immaginare una candidatura di tale perspicacia, apre uno sfiorire metapolitico del declino dell’occidentalismo, tanto vituperato da Oswald Spengler. E se, il cambiamento deve venire dall’Alto, allora il Sacro, in questo caso, è bitume. Dunque, rododendri a profusione ma il popolo, quello autentico, vigile e mai in preda a tömel e damel, senza tentennamenti dall’unica sponda credibile della Renania alla Liguria grillina, apporta una correzione sull’intendere la rivoluzione anti-sistema in corso. Eppure, l’aberrante coniugazione (distorsione) dell’impotenza contro l’ingranaggio poi ribattezzato populista, direttamente appoggiando una bordata sinistra, internazionalista, qualche dubbio in più, lo fa venire. Le convincenti disamine di Tarchi, trascendono da un particolare.
La divisione in due parti tra l’essere popolo o quantomeno apparire come tale, riconducendola ad un improbabile estraneità al sistema rappresentato dalla novità del M5S e come indicato nell’articolo «alla logica delle scelte di campo determinate dallo spartiacque sinistra/destra che è stato il primo punto di forza dei grillini», vi è più di una riflessione non del tutto convincente. Tanto meno, l’affinità elettiva e le manchevoli dimostrazioni al vertice del Movimento, privo di organizzazione politica (del popolo?) della classe dirigente.
Dal popolo a tutte le sue attribuzioni, questa volta non si sottrae dall’analisi di Alain de Benoist sul populismo. Anzi, escludendo anatemi comparativi si unisce una volta tanto. Perlomeno, come abbiamo visto, è nettamente distinguibile dall’amore dichiarato più volte da Grillo a Stefano Rodotà. Dobbiamo forse comprendere che non solo in democrazia il popolo è l’unico depositario della sovranità e che il “populismo”, inscenato in Italia, rappresenti davvero una reazione dal “basso” contro un “alto”, dove piaceri e l’autoreferenzialità di una classe politica incapace e permea di privilegi sia ufficialmente messa al bando grazie a Grillo e Casaleggio?
In questo caso, l’ipotetica forma politica del populismo nostrano ha solo dimostrato un’incapacità organizzativa persino nelle idee, capace a sua volta, di dar vita ad elementi realmente impopolari rappresentanti della scelta-summa illuminata di Rodotà. Tutt’al più, un’invettiva elitista, dove il volto buono del populismo, in realtà l’incarnazione e l’irriverenza pneumatica della radice di popolo, viene meno. All’orizzonte vi è solo uno spartiacque, dove uno smacchiatore di pellicce silurato dai probiviri dell’ammasso politico e partitico, abbandona per manifesta incapacità, solo apparentemente. A vincere è solo l’effettività e la rigenerazione del Molochdi sinistra evanescenza. Il quale, presto, darà prova dell’ennesima cresta di gallo del “motto” iniziatico dei tradimenti o accomodamenti.
Una nuova era in cui trasmigrare all’opinione pubblica la morte dei “cesarei” sinistrati e dove l’ideazione di una congiura priva dell’intenzione di scaraventare il corpo degli uccisi nel Tevere annullandone però, chissà perché la confisca dei loro privilegi, dei loro decreti con un abbraccio energico tra le due omogeneità del partito di Vendola Sel e i 5 Stelle, ha vita facile. Nel segreto dell’urna per la presidenza del Colle, vincono le larghe intese e i soliti balzelli. Evviva il “populismo” di Rodotà e dei suoi precorritori.
Georges Eugène Sorel, sociologo e filosofo autodefinitosi né professore, né volgarizzatore, né aspirante capo-partito, seppe rivolgersi come sempre sostenne, alla “massa delle persone non frettolose”. Senza correre il rischio di diventare il discepolo di se stesso. Cosa assai gradita alla nuova specie dei “transumatori” delle sue tesi. Oltre, solo se stessi.