Sconcerto, rabbia, preoccupazione. Questi nell’ordine i sentimenti che da settembre ad oggi hanno agitato le riunioni dei vertici del Rassemblement National e scandito le giornate della sua bionda signora, Marine Le Pen. Cos’è successo? Tante cose. Passata l’estate e smaltita la delusione delle regionali di giugno (perdenti a causa del massiccio astensionismo), i lepenisti si preparavano alle presidenziali del 2022 — la madre di tutte le battaglie— con un certo ottimismo e, soprattutto, con la sicurezza di centrare il secondo turno. Al convegno quadri settembrino di Frejus la signora ha esposto con tranquilla determinazione il suo programma per Francia: un discorso rassicurante e pacificatore, centrato principalmente su questioni economiche e sociali e ben lontano dai toni pirotecnici del padre Jean Marie.
Applausi e sorrisi, pacche sulle spalle e molte speranze. Poi la botta. Nemmeno dopo una settimana sono arrivati i primi sondaggi con Eric Zemmour in sorprendente ascesa. Un colpo inaspettato per il Rn: senza nemmeno essersi candidato, il polemista de “Le Figaro” (ma anche star televisiva e, ricordatelo, vecchio amico di Marine) iniziava ad invadere il campo delle destre, ridimensionando in una sola battuta sia i neo gollisti di Xavier Bertrand che il Rassemblement. Uno schiaffo pesantissimo soprattutto per i lepenisti accusati da uno scatenato Zemmour d’essersi normalizzati, omogenizzati, integrati. Insomma, l’alternativa della fiamma rossa bianca blù ridotta a mero «partito di governo, una forza del vecchio sistema».
La prima reazione è stata furibonda e disordinata. L’euro deputato Jordan Bardella, il ventisettenne “delfino” di Marine, ha replicato con astio ricordando che Zemmour nel 1981 (40 anni fa…) votò per il socialista Mitterrand, poi che il personaggio è un misogino, un personaggio «radicale e brutale simile al Jean Marie Le Pen degli anni Ottanta» e, infine, «un islamofobico che sogna una nuova notte di San Bartolomeo». Parole in libertà che hanno disorientato l’elettorato, diviso i militanti, imbarazzato i vertici.
Marine, donna intelligente, ha subito obbligato il suo acerbo discepolo ad una rapida retromarcia e costretto i suoi collaboratori ad un brusco cambio di toni. Le cose erano e sono più complicate. Per madame (e il resto del clan Le Pen) Eric era e rimane un amico caro, forse un possibile concorrente mai e poi mai un nemico. Dunque niente attacchi frontali ma frecce e dardi tutte concentrate su Macron, il vero nemico. Una tregua mediatica con un’unica eccezione: l’immigrazione, lo storico cavallo di battaglia lepenista ed oggi chiave portante del programma dell’imprevedibile giornalista.
Pur di non farsi sfilare la preziosa carta, Bardella — la molto sacrificabile “testa di turco” dello schieramento — è stato costretto a giocare sulla difensiva: «Siamo forse dei rammolliti quando proponiamo il taglio degli aiuti sociali agli stranieri? Siamo dei rammolliti quando diciamo che sopprimeremo lo ius soli e i ricongiungimenti familiari? Siamo rammolliti quando sosteniamo che in Francia è in corso una sostituzione etnica?».
Una strategia cauta che, al momento, non sembra pagante. Mercoledì scorso, nell’ultimo sondaggio di Harris Interactive, Zemmour è al 17-18% seguito dalla Le Pen al 16 e da Bertrand al 14. Numeri che, secondo gli analisti, si confermeranno dopo la discesa ufficiale in campo zemmuriana.
Nella scintillante nuova sede nazionale del Rassemblement (in rue Michel-Ange, cuore dell’elegante XVI arrondissement), come nelle più modeste federazioni regionali regna il nervosismo. Per più motivi. L’imprevista concorrenza a destra impone un’accelerazione della campagna e, al solito, i denari mancano poiché le banche, una volta di più, hanno rifiutato ogni anticipo e, dunque, non restano che le sovvenzioni statali e le sottoscrizioni dei simpatizzanti, al massimo quattro milioni di euro. Poca roba. Poi vi sono le purghe interne, lo stillicidio di espulsioni e dimissioni che confermano la storica rissosità interna degli ex frontisti, continuamente lacerati tra la fedeltà alle origini e il nuovo corso “modernista” imposto da Marine. Una politica sempre più moderata per fissare una netta discontinuità con il babbo (il sulfureo “fondatore” Jean Marie) e la nipote Marion Maréchal. Peccato che ambedue i congiunti (parenti serpenti…) da tempo hanno già occhieggiato per l’intruso (o il sempre amico) Zemmour.
In tutto questo bailamme politico-familista l’unica a tenere i nervi saldi è proprio Marine. Una persona tosta ma triste. Come ha confidato in un’intervista a “Valeurs Actelles”, dopo la sua rottura con Louis Alliot (l’ex numero due del partito e oggi sindaco di Perpignan), è una donna sola che, quando può, si raggomitola nella sua casa a Celle-Saint Cloud per coccolare i suoi gatti e incontrare le sue amiche d’infanzia.
Confidenze che ancora una volta Zemmour ha raccontato (invero con poca eleganza…) nel suo ultimo libro “La France n’a pas dit son dernier mot”, un successo editoriale, un programma politico ma anche uno spaccato agrodolce sulle trappole della politica francese. Nei loro lunghi colloqui privati la leader del Rn lo sconsigliava ad entrare in politica. «Lei mi ripeteva “è un inferno, ti fanno a pezzi. Guardami non ho una vita privata, sono sola. Mi commuoveva, mi straziava».
Poi le cose hanno preso un’altra direzione e oggi l’amico è diventato un rivale. Eppure Marine (almeno apparentemente) non sembra temere il suo concorrente. È volata da Orbàn a Budapest —il possibile (e improbabile) federatore delle destre europee —, ha deciso d’impegnarsi sino a gennaio nella Francia profonda (scelta tatticamente discutibile) e continua a mantenere un profilo moderato. Poi a febbraio 2022 si vedrà. Tutto può ancora cambiare. Di certo non ha dimenticato i suoi propositi del settembre 2017: ««Se un giorno qualcuno riuscirà a riunire milioni di francesi per salvare il nostro Paese, non avrò dubbi e gli cederò il mio posto. È chiaro?». Vedremo.