La guerra russo-ucraina ha scosso una volta di più la campagna per l’Eliseo e terremotato il campo della destra. Mentre Macron tiene la scena internazionale continuando una difficile mediazione con Vladimir Putin, i tre candidati destrosi — Zemmour, Le Pen, Pécresse — sono costretti rivedere contenuti, strategie e tempistiche. Il primo ha scelto, sulla scia dell’eredità gaullista, una linea di non allineamento. In un comizio a Chambèry e poi nei dibattiti televisivi, il giornalista-candidato ha ribadito con forza il suo “né Usa, né Russia, ma sempre e solo la Francia”. Pur condannando l’aggressione putiniana, Zemmour si posiziona come “patriota integrale” e rifiuta di scendere nel campo atlantista. Dalla tribuna ha invece denunciato «l’espansione ininterrotta della Nato che ha inquietato i russi costringendoli a battersi per impedirla» e si è detto risolutamente contrario alla fornitura di armi e alle sanzioni internazionali. «Il prezzo del gas esploderà, il prezzo del petrolio aumenterà, i prezzi dei cereali voleranno e saranno i francesi a pagare».
In più, commentando i tentativi di dialogo di Macron con Mosca, il leader di “Reconquete” si è detto convinto che la Francia può ergersi come legittimo negoziatore tra le due superpotenze soltanto a condizione di uscire (come già fece de Gaulle nel 1966) dal comando integrato della Nato e ritrovare la sua piena sovranità. «Come insegna la storia si negozia soltanto tra signori, non con i vassalli». Ciliegina sulla torta, Zemmour si è dichiarato contrario ad accogliere profughi ucraini. “Vogliono restare vicini a casa, inutile portarli da noi».
Insomma, per il candidato la guerra è semplicemente un litigio regionale e un’arma di distrazione mediatica. «Il contrasto tra i fratelli russi e i fratelli ucraini ci fa dimenticare il vero scontro di civiltà in atto. I nostri problemi fondamentali non sono ad Est ma a Sud». Parole dure e divisive che hanno riportato il polemista nell’occhio del ciclone e causato, secondo l’istituto Ipos-Sopra Steria, qualche ammaccatura nei sondaggi.
Molto più prudente invece Marine Le Pen. La signora ha scelto sulla questione un profilo basso e ha rallentato di molto la sua campagna centellinando al più frasi di circostanza sulla guerra in corso oppure sul costo finale delle sanzioni. La sua prima preoccupazione è smarcarsi dalle precedenti posizioni filo russe ed evitare domande imbarazzanti sul suo incontro con Putin nel marzo 2017 o sui prestiti ricevuti sempre in quell’anno da una banca russa e non ancora interamente restituiti. Meglio perciò limitare il dibattito alle conseguenze delle misure internazionali sul potere d’acquisto dei ceti più fragili e periferici, il suo elettorato di riferimento. Del resto in questa anomala campagna elettorale il motto di madame Marine è «innanzitutto adattarsi agli imprevisti». Bombe comprese.
Non pervenuta invece Valérie Precrésse, la candidata moderata. Il suo unico exploit si è risolto nella proposta di inviare due “emissari per la pace”, rispettivamente Hubert Vèdrine e Nicolas Sarkozy, a Kiev e a Mosca. Poi qualche banalità assortita e nulla più.
Gli ultimi sondaggi fotografano la situazione di stallo. Con il 30,5 Macron vola al primo posto, seguono ben distanziati la Le Pen (14,5) e Zemmour (13). A sorpresa leader goscista Mèlenchon raggiunge il 12, superando così una scoraggiata Precrésse che rimane inchiodata al 11,5. Su tutto e tutti aleggia l’inquietudine di oltre il 90 per cento dei francesi verso una crisi che sembra inarrestabile.