Miguel Bonasso è un uomo che non le manda certo a dire. Nei tratti somatici, barba e capelli bianchi, ridondano immagini, suoni e odori, di una militanza ceduta completamente all’intercalare di un animo da giornalista, dell’essenza argentina. La Rivoluzione oggi è un gioco di parole, una richiesta d’amnistia, costante, verso l’attuale situazione di degrado. Forse, lo è stato solo per alcuni fortunati che, intrapresero una via, come lui, irta di scelte al limite dell’umana penetrazione degli accadimenti in opera, affidandosi al sentimento latente, disgiunto da ogni insano risentimento del caso. Spesso le cognizioni di causa hanno origine dal ventre del mostro: nel 1967 Bonasso era capo ufficio stampa e vice dirigente delle pubbliche relazioni della General Motors, vivendo nell’intimo del sistema del libero mercato e delle multinazionali, l’incanto iniziale, svanisce.
Il processo rapido dell’attivismo politico non tarda molto a reclamare d’urgenza una delle menti e delle penne migliori d’Argentina. In quel ambiente di lavoro, riuscì a scorgere, senza l’apprendimento marxista in voga in quegli anni, l’insolenza di un intreccio illimitato di relazioni industriali, vantaggiose per le “istallazioni di capitali”. Beni reintegrati a monte e ammortizzati dalla casa madre, usufruenti di denaro sottratto all’economia nazionale. L’animo di Miguel, anche se fortemente influenzato da letture trotzkiste, (all’epoca conobbe Carlos Amestoy detto Colorado) ebbe il suo inizio e il suo apogeo in un appartamento di Buenos Aires in perfetto stile art-decò, situato in calle Tucumàn, dove Rodolfo Walsh era di casa e dove un bicchier di birra, di grappa o di vino, infiammavano le idee del Movimento dei Montoneros e del giovane Bonasso.
Allietato da riproduzioni ingigantite del Che, all’epoca ancora in vita e, dalla presenza di John William Cooke, sostenitore della rivoluzione cubana anti-colonialista del Movimento, Bonasso riuscì in un attimo a scorgerne nei lunghi diari mentali, “ideocentrici”, un innato campo visivo della storia, propenso a nazionalizzare e peronizzare la crescente attitudine politico-sociale. M. Bonasso oggi è un affermato autore e giornalista di fama internazionale cui in passato non sono mai mancati slanci cinematografici; nel 1997 ha portato a termine una ricerca documentaria su Maria Eva Duarte de Perón, sceneggiando in prima persona il celebre film Evita: la tomba senza pace, in seguito diretto e prodotto da Tristan Anne Bauer Skalon per Channel Four a Londra.
La medesima smania di ricerca sull’uomo e del combattente che ha caratterizzato una ricerca ossessiva di un libro scritto nel 2006, che comprende nella persona, della sua vita: Diario di un clandestino edito da Marco Tropea Editore, risulta essere, anche per i più deboli di stomaco, un inimmaginabile spaccato vitale della persona e delle problematiche odierne. Anni in divenire, dal 67 all’aprile del 1980, in cui l’autore dialoga a modo suo con “el Viejo”, Juan Domingo Perón, durante e dopo il suo esilio madrileno, vivendo momenti di una Primavera Argentina dall’inesorabile compiutezza. L’inestimabile classe nella direzione di un giornale, Noticias, diretto magistralmente dall’ agosto al novembre del 1973: dalle forti vocazioni del linguaggio del popolo argentino, voce della carta stampata dei Montoneros in opposizione alle velleità di Isabelita Perón.
Una diversa forma mentis del peronismo primo genio, differente dal classicismo del 1946-1955, d’azione sul campo, di lotta e cultura sociale e nazionale, vissuta in prima persona. Indimenticabile l’anno I -No 214 del fatidico martedì 2 luglio di un lontano 1974, dal titolo “Dolor”, la notizia della morte del Lìder e delle incertezze conseguenti l’ignobile ascesa del Generale Jorge Rafael Videla Ridondo, aiutato dalla regia poco nascosta della neo vedova Perón. Una vita, quella di Bonasso, all’insegna della trasparenza e delle privazioni dovute all’esilio forzato dal regime militare degli “Orribili” discepoli di Videla. Un esempio di fede a lungo precorritore delle immancabili tragicità di un assenza fisica e familiare, alleggerita dall’esperienza cubana ( da marzo a maggio del 1975), in cui conobbe le stanze della ex Capitol City di Cuba, l’Havana Libre ( Havana Hilton ai tempi di Batista). Una clandestinità all’insegna della solidarietà, dove i lunghi pomeriggi avaneri passati a raccogliere un asciugamano intriso di sabbia, la stessa diversamente abile nell’avvolgere la Patria natia, passavano malinconicamente alla ricerca del desiderio perduto: l’Argentina.
Il ritorno a Buenos Aires è una spy-story degna di un romanzo scritto da Riccardo Piglia, ambientato nei sobborghi meno chic della capitale argentina. Peripezie di un uomo che non si arrende e non si è mai arreso, sino all’addio al Consiglio Superiore del Movimento Peronista Montonero nel 1979, due anni dopo la celebre integrazione di tutte le sigle vicine al Movimento. Nell’agosto 2010 Cogote ( soprannome di battaglia di Bonasso ) scrive uno dei più riusciti thriller sudamericani: “La Venganza de Los Patriotas”. Una vendetta dei patrioti, sognando gli Stati Uniti del Sud America, raccogliendo un’eredità di stile letterario tenutagli in caldo da Alexander Dumas. In attesa della sua prossima fatica ricercata, ecco una certezza di vivere totalmente in quello in cui si crede. La militanza verso il proprio popolo, della vita, dei sentimenti, della cultura e della rinascita umana, come solo Miguel sa narrare.