Una premessa. Pietro Cerullo è una grande persona. Un amico. Un maestro. Viene da lontano, dall’Emilia della guerra civile e del primo MSI. Dal sangue e dalla piazza più dura. Non sempre le nostre strade si sono intrecciate. Meglio. La mia storia è quella del FdG, una splendida storia, che s’ intrecciò con il “rautianesimo” — un bislacco ma interessante esperimento di sintesi politiche — e la Nouvelle Droite di Tarchi e de Benoist — uno splendido laboratorio di idee e d’utopie —. Poi alcune delusioni e altri percorsi professionali e privati. Decisamente soddisfacenti. Certo, non ho fatto il deputino o il deputatone, ma non ho “baciato la pantofola”, non ho votato per la nipotina di Mubarak. Vivo bene, sicuramente meglio di tanti trombati e disoccupati. Punto.
Quello di Pietro è un percorso ancor più frastagliato, difficile, complesso. Per gli scemi Cerullo non è il pirotecnico leader della Giovane Italia degli anni Sessanta, ma l’artefice di Democrazia Nazionale, il “badogliano”. Peccato che DN fu l’anticipazione piena di Alleanza Nazionale. Peccato che quell’operazione fu la logica conseguenza di un percorso politico — discutibile ma condiviso dalla grande maggioranza di quelli che allora contavano (Almirante in primis) — aperto dall’esperimento della Destra Nazionale. Ma il Duce — qualsiasi duce, anche il più improbabile — ha sempre ragione. Una terribile cazzata che ancor oggi affligge i residui della destra. Da qui gli anatemi, le scomuniche. Ovviamente, la storia fu ben più complessa ma le vedove e le prefiche preferiscono sorvolare, incassare e, soprattutto, dimenticare che tutti, ma proprio tutti, i “puri e duri” si spellarono le mani quando Fini — oggi innominabile…— ripeteva nei Novanta i programmi e le tesi di DN. Senza sbagliare una virgola e un accento. Scemi….
Insomma, tra Pietro e il sottoscritto vi sono tanti motivi per discutere e confrontarsi. Interrogarsi. Capire. Anche litigare. Alla fine troviamo sempre una sintesi. Il fastidio verso i cretini e gli ottusi. L’insofferenza verso la volgarità di una destra senza qualità e cultura. E allora arriviamo al punto. Settimana scorsa Cerullo ha lanciato su Destra.it, il nostro piccolo giornale on line (molto pirata e per nulla “allineato”) una forte provocazione sul problema delle moschee in Italia. Una volta di più sulla questione tutta la redazione, magari con accenti diversi ma con convinzione, si è ritrovata in totale sintonia. Ma, cosa più importante, anche i lettori hanno condiviso l’impostazione offerta da Cerullo.
Per Pietro, ma anche per Massimo, Giampiero, Raffaele, per chi scrive e gli altri amici, una cosa è l’Islam, altra cosa è il fondamentalismo. Una cosa è l’immigrazione clandestina, altra cosa la libertà di culto; una cosa è la sicurezza, altra cosa la xenofobia; una cosa sono il controllo e la gestione oculata dei flussi, altra cosa il buonismo beota. Da qui l’urgenza di norme certe e controlli efficienti. Di severità e pragmatismo. Come ricordano i sindacati di polizia, meglio una sola moschea su un territorio ben delimitato — da controllare e monitorare con attenzione e intelligenza — che tante madrasse clandestine e incontrollabili, tanti scantinati in cui l’estremismo inevitabilmente fermenta e colpisce. In estrema sintesi, servono razionalità politica e fermezza. Solidità e vera cultura di governo.
Un passo ancora. Le leggi sono inutili senza progettualità e memoria. Da qui l’idea di un patriottismo di Civiltà contro localismi e cosmopolitismo. Ecco il ribadire che l’Italia è frutto e risultato oltre che della Roma Augustea e della Sicilia di Federico, anche dei regolamenti che tutelavano i “fondaci dei mori” a Venezia e nei domini della Serenissima, del Sacro Romano Impero che concesse nel Settecento, per volere dell’imperatrice Maria Teresa, alla comunità islamica di Trieste una piccola moschea all’interno del cimitero cittadino, dello Statuto Albertino del 1848, del Mussolini (piaccia o meno, a me piace…) che estendeva diritti e doveri ai popoli del’effimero impero italiano, di Enrico Mattei e del suo terzomondismo tricolore. E di tante altre storie del Mediterraneo ancora da riscoprire e scrivere….
Discorsi antichi ma non superati. Anzi. Oggi più che mai il patriottismo di Civiltà è una cosa seria, punto fermo e irrinunciabile. Su cui riflettere e agire. Su cui creare progetto politico. Senza isterismi salviniani o grilleschi. La destra (quella vera) è progetto culturale, storico. Coraggio e immaginazione. Serietà e visioni alte, rivolte, in primis, verso la sponda meridionale del grande mare che lambisce lo Stivale.
Le paure, le piccole speculazioni elettorali, lasciamole agli ex onorevoli oggi sessantenni e disoccupati che strillano insulti (e cercano preferenze) tra le bandiere leghiste e secessioniste. Uno spettacolo triste. Sono omarini tristi e rancorosi che non andavano bene lo scorso secolo e nulla valgono nel nuovo millennio. Merce scaduta. Andiamo avanti e ragioniamo.
Marco Valle ha ingegno acuto, onestà intellettuale, solida cultura storica e buona memoria. In più ha il coraggio d’infrangere i “tabù “. Anche quello più coltivato a destra dai cretini e da chi ha la coscienza sporca: che non vedono e non vogliono vedere come Democrazia Nazionale sia stata una visione ed un progetto molto più alti di Alleanza Nazionale, per il tempo, per il modo, per il contenuto.
Per il tempo. Se tutto il MSI l’avesse condivisa, sarebbe finito allora il potere interdettivo delle sinistre, ci saremmo risparmiati “gli equilibri più avanzati”, da Craxi a Berlinguer, avremmo costruito, non so se la svolta a destra, ma certamente la possibilità di farla. Che in politica e’ già tanto.
Per il modo. Democrazia Nazionale si proponeva come centro di aggregazione delle forze e degli elettori di centrodestra, per esserne insieme la guida e l’interprete, in competizione con la Democrazia Cristiana e i suoi vassalli liberal-democratici; non come ponte per trasferirsi in essa. Noi non saremmo mai saliti sul “predellino” ne’ della vecchia ne’ della nuova D.C. o PDL ; tanto meno ci saremmo autosciolti in quel brodo maleodorante di antifascismo ed affarismo!
Per il contenuto. Noi volevamo la Destra della ragione, oltre la nostalgia e la retorica; volevamo andare oltre, verso il futuro; non arretrare sulle posizioni della Resistenza, dell’antifascismo, rinnegare Mussolini, ripudiare non solo gli errori e l’orrore dell’antisemitismo, ma tutto il patrimonio culturale e programmatico, la lezione etica, la dottrina sociale: tutto per andare al governo e alla corte di Berlusconi!
Si dice che chi perde in politica ha sempre torto. Sarà , ma io ho perso il posto, non l’onore. E chi ha servito il Caimano?
Non fui d’accordo nel 1975 e, forse, con il senno del poi sbagliai. Ma, forse, quella maledetta iniziativa, poi abortita, ci privo’ della possibilita di avere, in un secondo tempo Pietro Cerullo, che sembrava il naturale successore di Almirate, al posto di Fini. Ricordo ancora io, che ero cresciuto nella Giovane Italia Di Massimo Anderson e di Pietro Cerullo, ed ero appena diventaro consigliere regionale della Calabria, la sofferenza che,provavo a vedere Pietro prendere chella che, ollora sembrava, una strada sbagliata e senza ritorno. Forse i tempi non erano ancora maturi. Oggi tutto appare sotto una luce diversa, soprattutto da quando Fini, forse stimolato dal suo amico Pacifici, ma soprattutto dalla sua sete di sempre maggior potere e dalla fretta di raggiungerlo, comincio’ a pronunciare a biure su ognuno tei temi che erano stati per anni , per noi, dogmi irrinunciabili. Ormai siamo quasi tutti dei vecchi, chi piu chi meno, estranei in un mondo che l’antitesi di quello che avevamo sognato. Il nostro treno e’ passaro. Altri, speriamo ve ne siano ci sostituiranno. Un abbraccio a Marco (dorse lui non si ricordera’ di me, ma soprattutto a Pietro che, ricordo, assieme a Massimo venivano in calabria a fare le loro ferie. Pietro per noi era un mito, un,Maestro, seppur gipvane, dai tempi del campo-scuola di Collagna