I due egolatri della scena politica italiana non perdono mai occasione di gareggiare a spararla l’uno più grossa dell’altro.
Berlusconi, sin dall’inizio dello scrutinio, ha lanciato 2 proclami “Sono tornato”, “adesso scrivo il programma” (per chi, autorizzato da chi, in base a quale linee ?) e sfodera uno slogan, appreso dai nipotini, “uniti si vince”. Certo a parte la puerilità della formula, è quella la via da percorrere, senza slanci egemonici, senza primazie infondate e senza marchi condizionanti liberalcapitalistici e neoconfindustriali.
L’altro, il Renzi di Rignano sull’Arno, dileguatosi nei giorni caldi della campagna elettorale, dopo aver dovuto ammettere che “poteva andare meglio” e la gravità delle sconfitte di Genova e di L’Aquila, non ha mancato la consueta sparata, una delle tante apprezzate, come abbiamo potuto constatare dagli italiani, che in numero sempre più interessati del futuro del proprio centro di residenza.
“Noi abbiamo vinto in 69 città e loro in 57” ! Perché omette di sommare le popolazioni dei Comuni acquisiti dal centrodestra e quelle andate al centrosinistra”? Perché non riepiloga la situazione precedente? Perché vanta nel proprio carniere Padova e Lecce, città in cui al I turno era in testa il candidato del centrodestra, poi superato al ballottaggio per vecchie ruggini fra Bitonci e i forzisti locali (Padova) e per l’atavico rancore ancora consistente tra la Poli Bortone e la destra (Lecce).
Del resto anche il successo civico di Genova, checchè ne possa dire Toti, è dovuto in misura predominante alle guerre interne del PD, all’inconsistenza di Doria e alle antipatie suscitate dal candidato scelto.
E’ opera poi che nel centrodestra sia nell’altro schieramento ci si preoccupi dell’incidenza delle liste civiche, che, mine vaganti, potrebbero recare e creare confusione nelle maggioranze varate il 25.
Nel suo editoriale Massimo Franco osserva che i ballottaggi “forse sono l’ultimo omaggio alle logiche maggioritarie”. Infatti sono risorte e riemerse, quella sinistra e quella destra, con faciloneria e con autolesionismo data per estinta dalle nostre parti.
Un altro dato emerso dai ballottaggi dovrebbe destare timore e preoccupazione nell’area egemonizzata da Renzi, ed in quella, di cui Berlusconi pretende di essere il “conducator”.
L’affluenza alle urne è stata appena del 46%, miserrima rispetto al 60,1% di domenica 11.
Il risultato, oltre ad essere influenzato dalla temperature torrida (il compagno Minniti con l’altro compagno Gentiloni Silveri e l’assenso immancabile ed inevitabile del grande sconfitto del 4 dicembre, hanno furbescamente, presagendo la disfatta, stabilito il 25 giugno), dimostra principalmente fastidio e noia per il rituale elettorale e disinteresse per i contendenti, nella massima parte dei casi riconducibili a Renzi e a Berlusconi ed anche il peso dei grillini rimasti a casa.