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Quando gli italiani salvarono i faraoni. Il “trasloco” di Abu Simbel e File

di Marco Valle
29 Novembre 2020
in Home, Mondi
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Nel novembre di quarant’anni fa si concludeva la grande campagna promossa dall’UNESCO per il salvataggio dei monumenti della Nubia. Un successo pieno e tinto di tricolore. Tra i principali protagonisti della ciclopica impresa vi furono infatti — con i loro ingegneri, tecnici, archeologi, geologici, topografi — le nostre migliori aziende e università. Una bella storia italiana.

Tutto ebbe inizio nel 1959 quando il presidente egiziano Nasser diede l’avvio alla costruzione della grande diga di Assuan, un’opera indispensabile per la modernizzazione del Paese ma anche una minaccia letale per gli straordinari complessi faraonici disseminati lungo il Nilo a sud di Assuan e destinati ad essere sommersi dalle acque del grande lago artificiale creato dallo sbarramento. L’otto marzo 1960 il Direttore generale dell’UNESCO Vittorino Veronese lanciò un appello, subito raccolto da numerose nazioni, per la salvezza dei templi millenari. Una gara di solidarietà a cui il governo di Roma aderì con estrema convinzione e grande generosità.

Gli italiani s’impegnarono principalmente in due formidabili quanto complicatissime operazioni. La prima fu Abu Simbel, l’imponente complesso funerario di Ramses II e della moglie Nefertari ritrovato nel 1817 dall’avventuroso padovano Giovanni Battista Belzoni. Dopo un acceso dibattito nel 1960 si decise il “trasloco” dell’intera struttura — una facciata alta 33 metri e larga 38, sulla quale spiccano le quattro statue del faraone, alte ognuna 20 metri, e un tempio minore dedicato alla regina — di alcune centinaia di metri. Un’impresa quasi impossibile che impegnò dal 1960 al 1968 gli ingegneri e i tecnici della Impregilo (recentemente confluita con Salini nell’attuale We Build) coordinati da Luigi Rossato e una poderosa squadra di abilissimi cavatori di marmo provenienti dalle montagne di Carrara e dalla vicentina Valle del Chiampo. Fu questo il nucleo decisivo dei 2000 tecnici e operai che, coordinati dal professor Piero Gazzola, tagliarono in 1003 blocchi, smontarono, trasferirono e riassemblarono l’intero complesso portandolo sessanta metri più in alto. Un riposizionamento assolutamente perfetto come conferma la puntuale ripetizione del fenomeno dell’allineamento solare, una lama di luce che, all’alba di ogni 22 ottobre e 22 febbraio, penetra nelle profondità del tempio e illumina le statue divine.

Nel 1970 fu la volta dell’isola di File, centro principale del culto di Iside, la dea della fertilità e sposa di Osiride. Un luogo mitico e un vero rompicapo ingegneristico. Alla luce del successo di Abu Simbel, l’UNESCO decise di smontare i monumenti e rimontarli sulla vicina (e ben più sicura) isola di Agilkia, affidando i lavori ancora una volta ad un sodalizio italiano costituito da Condotte d’Acqua e Mazzi Estero. Dopo aver messo il complesso in sicurezza con una diga provvisoria, le vetuste strutture vennero smontate, numerate (in totale 45mila blocchi…) e, una volta portate sulla riva del Nilo, attentamente restaurate. Agilkia veniva intanto spianata a colpi d’esplosivo e ingrandita con 400mila metri cubi di roccia.

Il 29 marzo 1977 — mentre la vecchia File, ormai spoglia dai suoi gioielli, si inabissava nelle acque del lago — iniziarono i lavori di ricostruzione: sotto i vigili occhi degli architetti Giovanni Ioppolo, Antonio Giammarusti e dell’egittologo Alessandro Roccati del Museo Egizio di Torino, l’intero santuario — come in un enorme puzzle — fu riposizionato con millimetrica precisione. Il 10 marzo 1980 il nuovo sito venne inaugurato completando così la campagna di salvataggio.

Gli anni passano, il tempo scorre ma per fortuna vi è chi non dimentica. Con rara sensibilità nel quarantennale della rinascita di File la nostra Ambasciata al Cairo e il Centro Archeologico dell’Istituto Italiano di Cultura, in collaborazione con il Ministero del Turismo e della Antichità egiziano, hanno voluto ricordare con una serie di importanti manifestazioni l’impegno italiano in quell’impresa straordinaria. Tra novembre e dicembre l’Ambasciatore Giampaolo Cantini, senza dubbio una delle figure più dinamiche della nostra diplomazia, aprirà una mostra documentaria ad Assuan, presso il Museo della Nubia, mentre sulla (nuova) isola di File verrà posizionato un grande pannello didattico che racconterà le fasi e i protagonisti del salvataggio. Entro l’anno si terrà al Cairo, negli spazi del Nuovo Museo delle Civiltà Egizie, una conferenza commemorativa con la partecipazione del Ministro del Turismo e delle Antichità egiziano, Khaled El Enani, e dell’Ambasciatore Cantini. “Un’occasione importante per ricordare un’impresa di cui l’Italia fu protagonista,” ha osservato Cantini, “in collaborazione ovviamente con le autorità egiziane dell’epoca, e che è ricordata con grande ammirazione e rispetto qui in Egitto ciò che il nostro Sistema Paese, con il contributo determinante del Ministero degli Affari Esteri, fu in grado di portare a termine allora, ad Abu Simbel e a File, ha pochi eguali nella storia dell’archeologia.”

“Le celebrazioni saranno anche il momento”, ha aggiunto il diplomatico, “per valorizzare l’importante contributo dell’archeologia Italiana in Egitto ancora oggi. Nonostante le difficoltà del momento, infatti, in tutto l’Egitto le nostre missioni continuano ad operare e a conseguire importanti risultati in termini di scoperte scientifiche.”.

Nella zona di Assuan sono infatti presenti, diretti da Patrizia Piacentini, gli specialisti dell’Università Statale di Milano che proprio l’anno scorso hanno scoperto una tomba con preziosi corredi funerari. Un’altra missione dell’Università di Bologna, coordinata da Maria Carmela Gatto e Antonio Curci, è invece impegnata tra Kom Ombo e Assuan nella ricerca di reperti preistorici e protostorici. Come ricorda la professoressa Giuseppina Capriotti Vittozzi, coordinatrice delle missioni CNR in Egitto, «il lungo filo d’amore tra l’Italia e la terra dei faraoni rimane saldo e fruttuoso».

Tags: archeologiaEgittoSalini Impregilo
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