Silvio Berlusconi continua a ripetere per ogni dove che, con alcuni dissidenti grillini ( da lui stesso sondati), si può dar vita a una nuova maggioranza (contando ovviamente sulla Lega). E’ probabile che la svolta ci sia dopo le Europee quando l’asse Lega-M5Stelle dovrebbe sgretolarsi ( il condizionale è d’obbligo). A questo punto il governo gialloverde lascerebbe posto a un esecutivo di centrodestra. Il Cavaliere, pur di galleggiare e salvare patrimonio e aziende personali, fa leva non su progetti politici dei partiti, ma sui portafogli degli inquilini del Parlamento. D’altra parte sotto questo punto di vista è un maestro. Ricordate la vicenda di Sergio De Gregorio nel 2006 quando il senatore venne accusato di essere stato da lui acquistato? E quella del 2010 quando Berlusconi superò la crisi scatenata nella coalizione di centrodestra da Gianfranco Fini, salvando alla Camera il governo per il rotto della cuffia, grazie al supporto di alcuni deputati? Anche allora si disse che il Cavaliere era intervenuto ad personam per rendere addomesticabili alcuni deputati.
Questa volta il Cavaliere chiama a raccolta i dissidenti grillini non per disegnare una strategia comune che tenga conto delle necessità della gente, ma li invita a riflettere su una cosa a cui i parlamentari, nessuno escluso, tiene moltissimo: paga e privilegi. Infatti rassicura Berlusconi, “Con noi lo stipendio rimane integro”. Berlusconi tiene a ricordare che i parlamentari non avrebbero alcuna convenienza a tornare al voto perché non sarebbero rieletti. “Invece così avrebbero ancora 4 anni di stipendio e 14 mila euro al mese” senza dare un soldo al partito.

Quattordici mila euro al mese?, si è chiesta la gente comune. Ma il governo gialloverde, intriso di retorica e demagogia, non si era impegnato a ridurre lo stratosferico stipendio dei nostri parlamentari? Non si era impegnato a ridurne i privilegi? E i vitalizi? Chiacchiere.
Fuori dal Palazzo, dentro al Palazzo
Sono oltre 5 milioni di persone in povertà assoluta in Italia. Soffre soprattutto il Mezzogiorno, ma anche le metropoli del Nord. Più di 1,2 milioni di minori si trovano in questa condizione. Sono i dati forniti dall’Istat dall’inizio delle serie storiche nel 2005, e in qualche senso un’anticipazione si era avuta con le cifre sul boom di domande per il Reddito di inclusione, delle quali l’Inps ne ha accolte solo la metà e in due terzi dei casi ha destinato gli assegni per combattere la povertà nel Sud.
Oggi l’Istituto di statistica definisce ancor meglio i contorni del fenomeno e stima che le famiglie in povertà assoluta siano 1 milione e 778mila: al loro interno vivono 5 milioni e 58 mila individui.
Per “poveri assoluti” l’Istat intende coloro che non possono affrontare la spesa mensile sufficiente ad acquistare beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile ( e che varia dunque in base ai componenti del nucleo e al territorio). Di fatto si tratta di avere un’alimentazione adeguata, un’abitazione – di ampiezza consona alla dimensione del nucleo familiare, riscaldata, dotata dei principali servizi, beni durevoli e accessori – e il minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio , istruirsi e mantenersi in buona salute. Ad esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo, la soglia di povertà è pari a 826,73 euro mensili se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 742,18 euro se vive in un piccolo comune del Mezzogiorno. La soglia della povertà relativa è invece – per una famiglia di due componenti – pari alla spesa media per persona nel Paese: nel 2017 è stata di 1.085,22 euro mensili.
Ancora una volta a soffrire maggiormente è il Mezzogiorno dove l’incidenza della povertà assoluta aumenta sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%) soprattutto registrato nei comuni Centro di area metropolitana (Da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50 mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). Ma – specifica l’Istat – anche nelle aree metropolitane del Nord – sia nei centri che nelle periferie – la povertà è aumentata.
Veniamo ai parlamentari che, ovviamente, poveri non sono … Le cifre si commentano da sole.
STIPENDI SENATORI (al netto): 14.634,89 euro mensili. DEPUTATI: 13.971,35 euro mensili
Difficilmente un parlamentare dichiara pubblicamente quanto guadagna. E’ stato detto che riportare i dati reali non significa fare dell’antipolitica ma rendere un contributo di verità per la pubblica opinione. Certo fa un certo effetto sapere che un senatore o un deputato guadagna al netto circa 14 mila euro al mese mentre un povero diavolo con famiglia porta a casa poco più di mille euro al mese …
I deputati hanno un’indennità lorda di 11.,703 euro. Al netto sono 5.346,54 euro mensili più una diaria di 3.500 euro, i rimborsi spese che ammontano a 3.690 euro, i rimborsi telefonici di 1.200 euro all’anno (cento euro al mese) e 3.995,10 euro ogni tre mesi per i trasporti. Anche per coloro che abitano a Roma ….
I senatori, invece, hanno un’indennità mensile lorda di 10.385, 31 euro. Al netto la cifra è di 5.304, 89 euro che, per chi ha un’altra attività lavorativa si abbassa di circa 200 euro. La diaria è di 3.503, 11 euro cui si aggiungono un rimborso per spese mandato pari a 4.180 euro e 1.650 euro al mese come rimborsi forfettari fra telefoni e trasporti. Tra queste spese dovrebbero rientrare quelle per i collaboratori, le consulenze, le ricerche, il sostegno “dell’attività politica del parlamentare”….
Non è finita qui. I parlamentari hanno diritto alle tessere autostradali sul territorio nazionale, Viacard o Telepass, oltre a quelle per viaggiare con la nave, con l’aereo o con il treno.
Pertanto, senza le eventuali indennità di funzione, i senatori incassano ogni mese 14.634,89 euro mentre i deputati guadagnano 13.971,35 . Uno studio inglese sugli stipendi dei parlamentari in Europa, ha calcolato che il costo di un parlamentare italiano è di circa 120.500 sterline all’anno. Praticamente il doppio dei colleghi inglesi che percepiscono 66.000 sterline, molto di più di quelli dei politici tedeschi e francesi e addirittura sei volte tanto quelli spagnoli.
Anche di recente, chi si è succeduto al governo ha tentato, sotto la spinta della pubblica opinione, di imporre un taglio agli stipendi di deputati e senatori. Nel 2011 il presidente del consiglio Mario Monti aveva incaricato una commissione di livellare le retribuzioni delle cariche pubbliche alla media europea. Ma i parlamentari hanno fatto sì che la proposta venisse affossata.
La riforma costituzionale del governo di Matteo Renzi avrebbe invece eliminato le indennità dei senatori. A luglio invece la Camera ha approvato legge taglia vitalizi firmata da Matteo Richetti del Pd che ha potuto contare anche sul sostegno dei 5 Stelle. Per prima cosa verrebbero ricalcolati i vitalizi, con la pensione dei parlamentari che sarebbe notevolmente decurtata passando dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo. Una riforma che secondo l’Inps porterebbe lo Stato a risparmiare 760 milioni di euro nei prossimi dieci anni. Per diventare legge però la riforma Richetti doveva essere approvata in maniera definitiva dal Senato. Lo scioglimento anticipato delle Camere ha però di fatto affossato la legge. Con il governo Conte, è stato il presidente della Camera, Roberto Fico a risollevare la questione. Fico ha proposto il testo all’ufficio di presidenza che ha approvato il ricalcolo degli assegni: la norma però riguarderà soltanto gli ex deputati, dato che il Senato si è pronunciato il 16 ottobre scorso.
L’infelice sortita di Berlusconi sui probabili dissidenti grillini (abbiamo il sospetto però che si rivolgesse anche ad altri) non fa altro che confermare un dato di fatto. Oggi la politica, quella vera, non si fa più. Ci si muove solo con e per i soldi. Come stupirci quando i vertici di quasi tutti i partiti si sono opposti alle preferenze? Chi comanda i partiti, lo si è visto anche nelle ultime elezioni politiche, assicura l’elezione a compagni di merenda, familiari, procacciatori di affari, leccapiedi, cortigiane …. Senza preferenze i nostri parlamentari se ne infischiano di recarsi sul territorio. Troppa fatica stringere la mano o salutare chi ha votato il simbolo del tuo partito, facendoti eleggere. Preferibile evitare il contatto con la gente della strada. Non si risponde nemmeno ad una mail … Oggi è sufficiente chattare su Twitter per comunicare in tempo reale, evitando anche di stringere la mano a chicchessia. Unico sforzo: andare alla Camera o al Senato tre giorni alla settimana per intascare senza fatica migliaia e migliaia di euro. Ed avere assicurati mesi di ferie, estive e natalizie … Il mestiere di parlamentare è proprio una pacchia.
Non trovo scellerato lo stipendio dei parlamentari, quanto il loro numero di gran lunga sproporzionato alle necessità del paese. L’abolizione delle preferenze ha rappresentato la fine della repubblica parlamentare, smentita nei fatti già dal 1994. Se il problema era combattere corruzione e malaffare beh… era meglio combattere 50 corrotti che 800 incapaci.
Ha ragione, sotto questo punto di vista, Andrea Fincani. L’abolizione delle preferenze è stata una sciagura. Ciò ha permesso alle segreterie dei partiti (o addirittura ad una sola persona, come nel caso di Fini, quand’era “padrone” del partito) di fare eleggere amici, amichetti, amichette, blindandoli nelle liste o nei collegi sicuri, sottraendoli al giudizio della gente.