A maggio, saranno trascorsi quarant’anni dal terribile volo che fu fatale al “Piccolo Aviatore”: sul circuito belga di Zolder, una ruota della Ferrari guidata dal canadese Gilles Villeneuve ne toccò una della March di Jochen Mass, suo collega e amico: il contatto bastò a far sbalzare la vettura del ferrarista, che fu scaraventato decine di metri più in là. Ore dopo l’incidente, il pilota morì all’ospedale di Lovanio.
Ossessionato dalla lealtà, nel precedente Gran Premio, a Imola, Villeneuve era stato vittima d’un fraintendimento col compagno di scuderia, il franco-italiano Didier Pironi: le due Ferrari si stavano spartendo i primi due posti, ma ordini di scuderia confusi portarono Villeneuve a rallentare e Pironi a scalzarlo: al “Piccolo Aviatore” crollò il mondo addosso. Legato da forte amicizia ai due partner precedenti – l’argentino Carlos Reutemann e il sudafricano Jody Scheckter, il quale vinse il mondiale con Villeneuve per gregario – Villeneuve vide crollare la convinzione su cui basava la sua vita: che la parola data tra amici fosse sacra e inviolabile. La malinconia in cui trascorse le due settimane che separarono i due gran premi ha addirittura portato alcuni a credere che il “Canadese Volante” si fosse presentato sull’autodromo belga con intenti suicidi.
Gilles Villeneuve è rimasto una leggenda dell’automobilismo, a dispetto d’una carriera con pochi successi (complice la brevità). Se è ovvio che Juan Manuel Fangio, Tazio Nuvolari, Niki Lauda, Ayrton Senna e Michael Schumacher sono stati adorati dal pubblico per le loro vittorie, Villeneuve (il cui figlio Jacques alla guida d’una Williams-Renault ha vinto un mondiale, grazie anche a una delle frequenti, gravissime scorrettezze dell’avversario Schumacher) si è fatto amare dai tifosi pur non avendo riscosso trionfi. Soltanto quattro mondiali completati (nel primo ha disputato solo le ultime due gare più una, con la McLaren, a metà stagione; e nell’ultimo le prime quattro), nessun titolo iridato, sei corse vinte su sessantasette. Non ha vinto la gara in cui ha fornito la sua prestazione più celebre: il duello (lungo ben tre giri) ingaggiato col francese René Arnoux a Digione, nel 1979. Quella gara sarebbe stata un trionfo tutto francese: davanti al proprio pubblico, la Renault si affermò quale nuova potenza della Formula 1, che avrebbe registrato la prima vittoria d’un motore turbo; e in effetti, la formidabile Renault-Alpine A500 del francese Jean-Pierre Jabouille vinse la gara, seguita però non dalla vettura del connazionale Arnoux, bensì dalla rossa di Villeneuve. Amici fuori dal circuito, Arnoux e Villeneuve combatterono ferocemente (nella concitazione, il transalpino riuscirà a contare otto contatti tra le autovetture) per la seconda piazza del podio, offrendo al pubblico una delle sfide più avvincenti della storia sportiva.
Era ancora l’epoca dei duelli cavallereschi, del sacro rispetto per l’avversario (Arnoux e Villeneuve ingaggiarono un duello così rischioso perché si fidavano l’uno dell’altro: se così non fosse stato, sarebbe bastata un’incertezza d’uno dei due contendenti per rendere la sfida letale), del coraggio folle che portava i piloti a rischiare la vita in uno sport assurdo e, in fondo, un po’ cretino, celebrato in grandi film (“Grand Prix” di John Frankenheimer, 1966 e “”Rush” di Ron Howard, 2013), oltre che da una bellissima canzone di Mark Knopfler (“Speedway at Nazareth”, dall’album del 2002 “Sailing To Philadelphia”; il titolo si riferisce non al villaggio galileo di Maria e Gesù, ma a un circuito in Pennsylvania, chiuso due anni dopo l’ottimo disco dell’ex leader dei Dire Straits).

Gilles Villeneuve è stato uno dei paladini più folli e coraggiosi dell’insensato e mortale circo della Formula 1. Si pensi che i suoi due soprannomi – “Piccolo aviatore” e “Canadese volante” – si riferiscono ai suoi non infrequenti “decolli”: la vocazione al volo (della quale il collega Lauda farà una professione) di Villeneuve sarà anche celebrata con un duello di velocità contro un aereo militare (una sfida d’accelerazione su rettilineo tra la Ferrari e un F-104, vinse la rossa), eppure era cominciata in tragedia. Nell’ultimo Gran Premio del 1977 (suo campionato d’esordio), in Giappone, Villeneuve urtò la Tyrrell dello svedese Ronnie Peterson: la sua Ferrari decollò, atterrando in una zona a bordo pista affollata, nonostante il divieto di occuparla; lo schianto fece due vittime e dieci feriti. L’anno dopo, Villeneuve “sorvolerà” lo svizzero Clay Regazzoni, che inveirà contro il collega dopo aver scoperto, sul proprio casco, tracce di pneumatico. Villeneuve si è reso protagonista di episodi unici negli annali della Formula 1, come guidare su tre ruote o con l’alettone anteriore ribaltato sopra il cofano. Non era un pasticcione: si intendeva di meccanica, era disciplinato e soprattutto rispettoso degli avversari, e aveva uno stile di guida notevole; ma era troppo coraggioso e veloce; il suo maggior svantaggio era il rifiuto di accettare i limiti della vettura, accelerava troppo e frenava poco; in questo stava per esempio la differenza tra lui e Niki Lauda, meticoloso e calcolatore, preciso e per questo vincente (due mondiali con Ferrari, uno su McLaren).
Proprio Lauda fu, suo malgrado, la causa dell’avventura di Villeneuve alla Ferrari: avendo il campione austriaco dichiarato pubblicamente che non avrebbe terminato al volante del Cavallino il mondiale, già vinto, del 1977, il “Drake”, Enzo Ferrari, cercò un pilota con cui sostituirlo: la sua scelta cadde su di un quasi misconosciuto pilota canadese, con un palmares piuttosto ricco nelle serie minori, ma che in Formula 1 aveva corso una sola volta, in Gran Bretagna a luglio (facendosi onore su di una McLaren fatiscente). A settembre Enzo Ferrari ingaggiò Villeneuve, per sfidare Lauda (col quale i rapporti erano sempre stati conflittuali): le future vittorie di un “signor nessuno” avrebbero dimostrato l’assioma dell’ingegner Ferrari, secondo il quale era la vettura a vincere, e non il pilota – con buona pace quindi del prode austriaco (sfregiato l’anno prima, sul circuito tedesco di Nurburgring, nell’incendio della sua Rossa). Teoria che non trovò conferma, e fu anzi ribaltata da Villeneuve, le cui prestazioni furono frenate da autovetture non sempre all’altezza delle sue capacità. Ciò nonostante, il rapporto professionale tra il “Drake” e il “Piccolo Aviatore”, cominciato per rimpiazzare un altro pilota, divenne un legame di affetto profondo: carattere notoriamente difficile, chiuso e duro, il patriarca modenese fu conquistato da quel folletto pieno di bizzarrie (dal camper con cui seguiva il “circus” al trombone col quale, con disperazione di chi capitava nei paraggi, si esercitava anche per sei ore filate). Già ferito dalla precocissima morte del figlio Dino, il commendator Ferrari rinunciò a presenziare al funerale del suo pilota preferito, essendo il lutto troppo lancinante. Tra i grandi dolori della sua vita durata novant’anni, Ferrari accosterà la perdita di Villeneuve a quella dei genitori, del fratello e del figlio, arrivando a dire pubblicamente: “Gli volevo bene”, affermazione quasi sbalorditiva, dato il temperamento di chi l’ha pronunciata.

Come Enzo Ferrari passò facilmente oltre l’esasperazione per i danni che lo spericolato pilota arrecava alle sue preziose auto da corsa, così il pubblico della Formula 1 e i tifosi ferraristi tributarono presto ammirazione a colui che sembrava uno sbadato pilota d’aereo capitato per errore al volante di una Formula 1. Anche i colleghi, passati i primi spaventi procurati da questo novellino troppo audace, lo riconobbero come uno dei migliori tra loro. Per la generosità con cui spendeva se stesso (e la vettura), per il coraggio, per la purezza; per la sua devozione all’onore, alla parola data, alla lealtà verso il compagno di scuderia e all’amico. Quell’atroce schianto del maggio 1982 ha punito crudelmente un piccolo, folle eroe e ha privato lo sport di uno dei suoi campioni migliori, che se avesse avuto più tempo sarebbe anche stato celebrato da una vittoria iridata.
Già dedicatario di vari tributi sparsi tra i circuiti di Formula 1, Gilles Villeneuve è stato anche protagonista d’una bella mostra milanese, “Wow Gilles! Villeneuve, il mito che non muore” (allo Spazio Oberdan, nella primavera del 2017, con preziosi cimeli e tante belle fotografie di Emilio Colombo). La sua leggenda è ora celebrata anche da un libro edito da Baldini+Castoldi: “Gilles Villeneuve. L’uomo, il pilota e la sua leggenda”, trecento pagine in cui due super-esperti di automobilismo e Formula 1, Luca Dal Monte e Umberto Zapelloni, ripercorrono l’ultimo lustro di vita dell’eroe per colpa del quale il popolo ferrarista, tra il 1977 e il 1982, contrasse la “febbre Villeneuve”: i cinque anni più gloriosi, più tormentati, più tragici della carriera di un pilota leggendario; dall’incontro con Enzo Ferrari, al fatale incidente di Zolder. Un ricordo accuratissimo, che oltre a esplorare ogni dettaglio dell’avventura di Gilles Villeneuve alla guida della Ferrari offre spazio alle emozioni, ai sentimenti, ai pensieri suoi e degli altri gladiatori delle quattro ruote.
Luca Dal Monte & Umberto Zapelloni
Gilles Villeneuve. L’uomo, il pilota e la sua leggenda
Baldini+Castoldi, Milano 2021
326 pagine, 20 euro