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Home L'Editoriale

Quel maledetto imbroglio del PIL

di Maurizio Bianconi
18 Maggio 2023
in L'Editoriale
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Quel maledetto imbroglio del PIL
       

Tutti stanno ripetendo che la crescita  dell’Italia è superiore a quella degli altri paesi europei a economia avanzata. Il nostro PIL (prodotto interno lordo) sarebbe cresciuto dell’1, 2 %, lo 0, 1 in più  degli altri. Identificare la crescita di una nazione e della sua economia con la crescita del PIL non è un errore, è una menzogna. Senza ricorrere a formule e definizioni che possono apparire complesse,  si può dire che il PIL è la quantità di denaro che si muove all’interno di un paese, in un tempo dato. Dal 2014 l’UE ha disposto che nella quantificazione del PIL vadano ricompresi anche i denari in circolazione per il traffico di droga,  la prostituzione,  il contrabbando.

Anche il governo è membro della banda del Pil. Alla festa del decennale del suo partito nel dicembre 2022, il premier emise la sentenza su quale dottrina economica avesse opzionato “non guardo i sondaggi,  io guardo il PIL”. Il dato fornito dal PIL è utile, ma non per un presidente del consiglio di un governo politico. È il miglior termometro per le attività finanziarie e speculative. Garantisce la conoscenza di quanto denaro circola in un paese,  del limite degli investimenti in titoli,  di come possa rispondere la piazza alle dinamiche finanziarie.

Questo modo di misurare la crescita,  quantitativo,  rozzo,  indifferenziato, fuorviante, è anche criminogeno. Se aumenta il fatturato del commercio di droga la banda del PILregistra la crescita dell’economia nazionale Che il Pil sia un miserabile  imbroglio ha infinite comprove. Nel mentre si gioiva per la crescita, nelle stesse pagine e negli stessi notiziari si dava conto che gli utili monstre di Unicredit (€4, 5 miliardi) e Enel (€ 5, 4miliardi) erano i principali protagonisti della crescita del Pil. Nel contempo, senza  fare un plissé si apprendeva che il caro energia aveva causato 2 milioni di poveri assoluti in più e aveva bruciato 50 miliardi di risparmi degli italiani.

Altra notizia del giorno che si accompagnava alle altre come in un beffardo quadretto surreale, era il vertiginoso aumento “anche a Milano” di quanti ricorrevano ai pasti caldi Caritas.  “10. 000″ bisbigliava triste lo speaker. L’aumento di povertà diffusa,  la contrazione dei redditi da impresa e da lavoro, l’inflazione, l’impennata degli squilibri sociali e territoriali,  la decrescita del benessere di quasi tutti a vantaggio di un pugno ristrettissimo di personaggi, sono una realtà che il metodo del PIL non rileva. Se la ricchezza aumenta in termini assoluti e, come sta succedendo, si deposita in un numero sempre minore di tasche, e il PIL cresce,  i soliti noti possono cantare vittoria e annunciare l’incremento del benessere. Il mondo reale certamente no.

Imbroglio perfetto. Caldeggiato, avallato predicato da tutti in Ue, come in Italia: verità totemica, pozione avvelenata che favorirà anche la rovina della nostra comunità e della sua economia diffusa. Se governasse la politica e la democrazia, quelle effettive non i surrogati o le copie di vario genere fiorite un po’ ovunque, il metro di misurazione sarebbe altro. La qualità prevarrebbe sulla quantità,  l’equità sull’ingiustizia. Già oltre 60anni fa inegli USA si erano sollevate voci contro l’idea del PIL come misuratore di benessere. Robert Kennedy in un famoso discorso sullo stato dell’economia disse “Il PIL misura tutto eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta”.

La violenza  e la fallacia dell’imbroglio del Pil la spiegò di recente, nel silenzio generale, un economista anglosassone, un “pentito” che dichiarò “Se obbligassimo tutti i bambini del mondo a lavorare 20 ore al giorno,  nelle fabbriche e nelle coltivazioni agricole il Pil globale crescerebbe di certo. Dovremmo chiedere scusa per aver valorizzato l’idea della crescita quantitativa noi economisti che non avevamo saputo prevedere la crisi del 2008 e poi avevamo contribuito a far scegliere la via della crescita ipertrofica della ricchezza”.

A quanto pare, parole al vento.          

Tags: economiaglobalizzazione
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