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R. Cammilleri/ Sono i sauditi gli sponsor dell’estremismo islamico

di Redazione
1 Agosto 2019
in Rassegna Stampa
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R. Cammilleri/ Sono i sauditi gli sponsor dell’estremismo islamico
       

Nell’anno 851 un famoso erudito arabo, Nuaym bin Hammad, compilò il Kitab al-Fitan, una raccolta di hadith (detti di Maometto e del suo genero Alì) nella quale si può leggere questa singolare profezia: «Se vedi le bandiere nere resta dove sei e non muovere le mani o i piedi. Verrà a te una gente che è debole e non ha alcuna capacità, i loro cuori sono come blocchi di ferro. È la gente dello Stato, essi non rispettano le promesse né i trattati. Parlano di verità ma non la possiedono. I loro cognomi sono nomi di città e i loro capelli sono sciolti come quelli delle donne. Combatteranno fra loro, poi Allah porterà la verità».

Terence Ward, nel suo Il Codice Wahhabi. Come i sauditi hanno diffuso l’estremismo nel mondo (Lef, pp. 130, € 14), fa notare che l’attuale capo dell’Isis («Stato» islamico) si chiama al-Baghdadi: un nome di città come cognome. Pare che negli ultimi quarant’anni l’Arabia Saudita abbia speso più di dieci miliardi di dollari per diffondere la dottrina wahhabita nel mondo sunnita, tra il 15 e il 20% della somma sarebbe andata ai jihadisti. Fino a poco tempo fa in Arabia erano vietati i minareti e i simboli funerari, chi non partecipava alla preghiera veniva flagellato.

Si parte dal 1703, anno di nascita di Mohammed ibn abd al-Wahhab, che ancor giovane prese a percorrere la penisola arabica predicando il ritorno alla purezza delle origini. Visto il suo successo, nel 1744 l’emiro di Diriyah, Muhammad bin Saud, stipulò un patto di ferro con lui e da allora la dinastia dei Saud fu wahhabita.

Il wahhabismo proclamava l’unicità assoluta di Allah e condannava la venerazione di qualunque intermediario, fosse pure il Profeta. Poiché era invalsa tra i musulmani l’abitudine ai pellegrinaggi alle tombe dei «santi» islamici, Wahhab le fece distruggere tutte. E ancora oggi è in pericolo la stessa tomba di Maometto a Medina, veneratissima dagli sciiti. I quali venerano anche Hussein, nipote del Profeta e «martire». La cui tomba a Kerbala, in Iraq, fu distrutta dal secondo Saud, Abdul-Aziz bin Muhammad, che nel 1802 attaccò la città con un’armata di diecimila wahhabiti e ne massacrò la popolazione.

I wahhabiti continuarono a «purificare» la penisola uccidendo i maschi kafiri (secondo loro, seguaci di pratiche pagane) e riducendo in schiavitù donne e bambini fino a quando, nel 1813, il khedive d’Egitto, Muhammed Ali (come si vede non c’è molta varietà nei nomi propri), mandò l’esercito a ricacciarli nel deserto. Qui rimasero fino al 1902, anno in cui un altro Saud, Abdul Aziz, li riunì sotto la sua guida e diede vita alla «fratellanza (ikhwan) wahhabita», che si impegnò nell’indottrinamento dei beduini del deserto. Nel 1924 un poderoso esercito wahhabita conquistò La Mecca e Medina, cancellando ogni traccia di islam che non fosse rigorosamente «salafita» (la pretesa purezza della prima generazione di musulmani). Ma il capo Saud commise l’errore di dotarsi di telegrafo, telefono e automobile, cosa che al clero integralista parve intollerabile.

Nel 1926 si venne dunque allo scontro aperto, che il Saud risolse con pugno di ferro. Da allora l’alleanza tra la famiglia reale saudita e il wahhabismo è stata fragile, e per restare al potere i Saud dovettero cedere al clero il totale controllo sulla religione. Ci vollero interminabili dibattiti per ammettere nel regno la moneta cartacea, nel 1951. E altri undici anni per l’abolizione ufficiale della schiavitù. Ma l’equilibrio restava precario.

Negli anni Settanta l’idea: il ministero degli affari islamici, grazie ai proventi stellari del petrolio, lanciò la «Missione Wahhabi» (Dawah Wahhabiya) per diffondere il verbo wahhabita nel mondo. Così, enti benefici islamici presero a fondare moschee e madrase (scuole wahhabite) dappertutto, mentre torme di volontari supportavano il jihad contro il regime comunista in Afghanistan. Ma i rapporti tra dinastia e movimento wahhabita rimasero in bilico. Nel 1979 militanti wahhabiti arrivarono a occupare la Grande Moschea della Mecca in contestazione dei Saud. I quali aggravarono le cose nel 1991 permettendo l’installazione di 15.000 soldati americani nella penisola arabica.

Il saudita Osama bin Laden creò al-Qaeda e nel 2001 attaccò le Torri Gemelle di New York. Il resto è cronaca.

Rino Cammilleri, Nuova Bussola Quotidiana, 1 agosto 2019

Tags: Arabia SauditaEgittoIranIslamRino CammilleriTerence Wardterrorismo
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