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Home Rassegna Stampa

R. Cammilleri/ Torino: d’antifascismo si campa, si beve, si mangia

di Redazione
8 Maggio 2019
in Rassegna Stampa
2
R. Cammilleri/ Torino: d’antifascismo si campa, si beve, si mangia
       

L’attuale polemica sul Salone del Libro di Torino, polemica innescata dalla scelta del comitato (di salute pubblica) presiedente lo stesso di non ammettere libri ed editori «fascisti», può stupire forse i giovani e i non addetti ai lavori, ma non gli scafati di lungo corso. Alla fine (ingloriosa) dell’ultima guerra l’Italia ebbe la ventura di ritrovarsi con due politici, due soli, con la levatura di statisti, De Gasperi e Togliatti.

Togliatti, che sapeva bene come erano state decise le cose a Yalta, volle per sé l’apparentemente secondario ministero della Giustizia. Intanto riesumava la dottrina gramsciana della conquista del potere tramite la cultura. Dottrina di lungo, lunghissimo respiro, ma il comunismo era (è) una religione secolarizzata, e le religioni fanno i loro calcoli avendo come misura l’eternità.

Non così i democristiani, che preferirono mettere le mani sui ministeri che gestivano, qui e adesso, i soldi. Forse non potevano fare diversamente, visto che i soldi erano americani (Piano Marshall) e c’era un Paese da ricostruire. Il guaio è che continuarono così anche dopo, lasciando la voce «cultura» praticamente nelle mani del Pci. Fu così che, quando la prima generazione che non aveva visto la guerra si affacciò sulle scene, fu il Sessantotto.

Attraverso i circoli Arci che coprivano tutto, dalla musica pop al cinema, e grazie a veri e propri «agenti di influenza» piazzati nei posti chiave dei gangli  culturali, poterono plagiare un intero popolo e seminare le uova di drago per ulteriori «conquiste di civiltà». La «gioiosa macchina da guerra» del partito-chiesa fu inceppata in extremis prima da Craxi e poi da Berlusconi. Per i quali si ricorse ad altri mezzi.

Nel romanzo del dissidente sovietico Vladimir Volkoff, Il montaggio, il protagonista viene fatto assumere da un’importante casa editrice francese alla sezione saggistica. Che cosa deve fare? Quando si presenta qualche opera che documenta i misfatti del comunismo lui suggerisce all’autore di dire «stalinismo», assicurandolo che così avrà un maggiore pubblico. Tutto qui. In tal modo, però, i misfatti non sono più intrinseci alla filosofia marx-leninista, ma solo deviazioni di un tiranno asiatico.

Al tempo del primo governo Berlusconi, l’allora senatore Dell’Utri convocò a Firenze cinquecento intellettuali di orientamento conservatore. Tra cui io. Quando toccò a me prendere la parola feci presente che se non si contrastava la sinistra sul piano culturale sarebbe stata solo questione di tempo prima di soccombere. Macché. Il «partito di plastica» berlusconiano era composto di ex democristiani ed ex socialisti, abituati da sempre al corto respiro. Si è visto come è andata a finire.

Oggi, dal Salone del Libro vengono emarginati anche editori come Giubilei Regnani, attento al mondo conservatore anglosassone: «Fascista». O una biografia di Salvini («fascista» per definizione) di un editore vicino a Casa Pound. L’antifascismo è un mito che viene tenuto artificialmente in vita per giustificare l’esistenza di chi ha perso tutti i treni della storia. Ed è essenziale, vitale per gli interessati mantenerlo sempre vivo, buttando via via ramoscelli nella brace affinché mai si estingua. La sinistra ex marxista ha perso tutto, e perde pure le elezioni. Deve perciò continuamente legittimarsi agli occhi della gente come sempre vigile guardiana di un «pericolo» vecchio di settant’anni e sempre a rischio di cadere nel dimenticatoio. In attesa che anche in Italia prenda piede nelle teste la filosofia liberal americana, che da noi stenta ad attecchire e che gli orfani di Marx sono stati costretti ad adottare.

I partigiani sono tutti morti di vecchiaia, ma la loro Associazione è sempre egemone come guardiana della memoria, e coi soldi di tutti. Così, come le decine di istituti di storia della Resistenza, denunciati a suo tempo da Romolo Gobbi nel suo Il mito delle Resistenza. L’autore, che pure era di sinistra, è da allora sparito dalla carta stampata.

I Saloni del Libro e le altre kermesse «culturali» servono a questo. Il bello è che le descritte strategie sono sotto gli occhi di tutti e si svolgono en plein air. Ma nemmeno i preti lo hanno mai capito. Anzi, nelle loro librerie ed editrici fanno lo stesso.

Rino Cammilleri, La Nuova Bussola Quotidiana, 7 maggio 2019

Tags: Altaforte edizioniantifascismoFrancesco GiubileiRino CammilleriSalone del Libro Torino
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Commenti 2

  1. Der einsamer Stein says:
    4 anni fa

    Citare come “uova del drago ” quelle seminate dai comunisti mi pare fuori luogo. Caso mai queste, in confronto a quelle di Buttafuoco, sono uova fradice. Secondo, senza ritenermi un genio ho sempre sostenuto che nel piazzare i loro uomini nei posti chiave, o che contano, bisogna riconoscere ai comunisti di avere dato prova di una abilità diabolica.
    Terzo, quella succursale da rottamare dell’anpi, credo un altro pozzo senza fondo, sarebbe da mettere nel dimenticatoio senza curarsi degli strilli isterici dei soliti idolatri della resistenza. Cito un caso, un mio ex amico comunista, piuttosto più giovane di me (ne ho 85), iscritto all’anpi! Da ridere (o piangere). Quarto, personalmente, fra tutti i comunisti esistenti sulla terra, ho sempre sostenuto che quelli i-taglioti siano i peggiori in assoluto. Per irriducibile ottusità, incapacità di usare il cervello (ammesso che ne siano dotati), indottrinamento e quant’altro. Inimitabili, come i trinariciuti del buon Guareschi.

    Rispondi
  2. Peppino coppola says:
    4 anni fa

    Perché addebitare la censura solo alla sinistra vetero comunista. In prima fila contro la libertà di opinione ho visto i 5 stelle con il loro odio figlio delle frustrazioni dei falliti consapevoli che la loro stagione volge al tramonto

    Rispondi

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