Il dicembre del 2017 fu uno dei più duri degli ultimi decenni, il preludio ad un inverno in cui le nevicate si susseguirono incessanti anche in pianura e nelle grandi città. Dopo un’estate torrida, molti esperti avevano pronosticato un rigido inverno, ma nessuno vi aveva creduto, poiché le previsioni non sembravano aver un valido fondamento.
Maria, una donna anziana, si preparava ad affrontare la notte del 23, dell’antivigilia , all’interno di un container che dei funzionari della regione le avevano assegnato, meglio sarebbe dire imposto, in quanto terremotata. La mattina dopo i suoi nipoti sarebbero venuti a prenderla per portarla a Macerata, per festeggiare tutti in famiglia il Natale.
Era ancora sera, ma già nel container cominciava a far freddo, un vento gelato fischiando passava attraverso i numerosi pertugi di quella specie di abitazione. Le faceva compagnia il suo cane, Nerone, un incrocio tra un san Bernardo e qualcos’altro, un fedele compagno mite e silenzioso. Maria non aveva voluto con sé nemmeno la sua affezionata badante, una giovane moldava, rimasta a Macerata. Infatti, un mese prima, gli ufficiali giudiziari le avevano intimato di farsi trovare da sola nella sua casetta di legno al momento dello sfratto; lei aveva obbedito ma a quel punto voleva dimostrare a tutti che poteva ancora vivere da sola. Sì perché Maria, 95 anni con la testa a posto, prima di quel giorno, da ormai un anno viveva in una confortevole casetta di legno, prefabbricata, che i suoi familiari le avevano sistemato in una loro proprietà. Lì stava benissimo, tutto era stato adibito a sua misura, aveva perfino il bagno accanto alla unica camera da letto. Ma qualcuno le aveva intimato di andarsene, perché quella piccola costruzione non rispettava i “vincoli paesaggistici”. Tutto attorno c’erano macerie, i segni del terremoto erano sparsi ovunque, però ciò che dava fastidio pare fosse solo la sua casetta di legno. La sua famiglia aveva osato costruire qualcosa al di fuori del controllo delle Coop, aveva avuto la sfacciataggine di impegnarsi in una iniziativa privata, facendo esibizione di disponibilità finanziaria, in una regione rossa ! E questo non poteva essere tollerato.
Così da pochi giorni, alle soglie dell’inverno, Maria si era dovuta adattare a vivere in quel container, allestito secondo gli “standard istituzionali”, accanto ad un casale diroccato, divenuto un improvvisato pollaio per le sue galline.
Il vento continuava ad avventarsi sul suo precario rifugio, ed acquistava forza con il passare del tempo. Maria si avvolse nelle coperte, sdraiata nel letto, raggomitolata su se stessa per trattenere il poco calore. Il cane Nerone era sempre ai suoi piedi, la guardava rassegnato, con i suoi occhi dolci, unica compagnia in quel tratto isolato di collina. Trascorsero un paio d’ore, poi d’un tratto il vento quasi d’incanto cessò ma lasciò spazio alla neve, che Maria dall’unica finestra vedeva scendere a fiocchi grossi. Faceva sempre più freddo nel container che aveva l’aspetto di un anonimo vagone, l’impianto di riscaldamento che i tecnici incaricati avevano allestito non funzionava, Maria si sentiva in trappola lì dentro. Le venne in mente quando da ragazza, nel 1947, aveva visto passare il treno partito da Ancona e diretto a Bologna, che trasportava i profughi italiani fuggiti dall’Istria. Dentro quei vagoni erano in tanti pigiati uno sull’altro ; Maria era sola ma il freddo e l’ambiente ostile dovevano essere uguali ; rivide nella mente degli uomini, con al collo un fazzoletto rosso, che ai margini della ferrovia urlavano e minacciavano i profughi al passaggio del treno. Maria aveva imparato allora ad avere paura dei rossi, aveva realizzato che quegli uomini erano cattivi, e chi non lo era lo sarebbe diventato. Oggi i rossi le avevano tolto la casa, l’avevano lasciata lì in preda degli eventi.
La nevicata si trasformò in tormenta, presto il vetro della finestra si appannò, Maria realizzò che il manto nevoso avrebbe presto bloccato la porta ; se fosse invece rimasta nella sua casetta, avrebbe avuto il bagno a disposizione, ed il piccolo porticato che circondava i muri di legno le avrebbe permesso di avere uno spazio vitale per uscire in caso di emergenza.
Intanto giù al paese, i nipoti iniziarono a preoccuparsi delle condizioni del cielo ; che stesse per sopraggiungere un tempo da lupi lo si capiva anche a bassa quota. Così uno di loro chiamò in prefettura, per sapere se erano state organizzate squadre di soccorso per quei pochi abitanti che risiedevano in luoghi isolati. Al telefono rispose una donna, con voce sgraziata gracchiò : “Qui è la prefettura ! Cosa ha bisogno ?”
“Nostra nonna vive isolata sulla collina, volevo sapere se avete previsto di mandare una pattuglia della Protezione Civile a controllare:” rispose il nipote.
“Qui non è previsto nessun movimento ! Se per quattro fiocchi di neve dovessimo sempre mandare qualcuno , staremmo freschi !” disse la donna, guardandosi le unghie appena laccate.
Intanto sulla collina la neve ormai aveva avvolto il container, il freddo che penetrava fino nelle ossa attanagliava Maria; per farsi coraggio, l’anziana donna cominciò a rincorrere i ricordi della sua lunga vita. Le balzò alla mente il giorno in cui, ancora ragazzina, accompagnò sua madre a donare la fede alla Patria.
Per quanto molto giovane, le sembrava una cosa ingiusta, irragionevole, che sua mamma si privasse di ciò che le era più caro per darlo a chissà chi. Ma la madre replicò dicendo che tanto aveva avuto dallo Stato quando aveva chiesto, che era giusto essere grati alla Patria ; e aveva accompagnato le sue parole con una solennità sconosciuta fino ad allora alla figlia. Maria un mese fa una sola cosa aveva chiesto allo Stato, di poter vivere gli ultimi anni della sua vita in quella casetta di legno, dove non dava fastidio a nessuno : ma non era stata accontentata.
Ricordò quando venne la guerra, quegli inverni freddi perché mancavano tante cose, il carbone per esempio. Maria si augurò di non dover più rivivere quelle notti, che aveva sopportato con la forza della sua giovinezza.
I suoi ricordi vennero interrotti dagli ululati lontani dei lupi, quelli veri. Ma non le fecero paura, perché erano segnali comunque di vita, che qualcosa ancora fremeva nella fitta tormenta. Nerone mugolava turbato , appallottolato su un tappetino scendiletto. Maria si immaginava i lupi oltre la collina, sui monti Sibillini, sui fianchi dove qualcuno in vena di patriottismo aveva piantato dei pini a formare un bosco a forma di Italia. Non temeva quegli animali , erano nel loro ambiente ; i veri lupi senza pietà , anch’essi grigi , ma come i burocrati, erano coloro che l’avevano messa in quel container, senza alcuna comprensione per la sua situazione.
La neve continuò a cadere fitta per tutta la notte, avvolse il container come una fredda coperta. Poco prima dell’alba, Maria intravvide una luce opaca e sfuggente che filtrava dal vetro della finestra, forse riuscì a sentire anche delle voci confuse, comprese che i suoi familiari erano venuti a prenderla, che il suo Natale era già arrivato.
Si addormentò con un sorriso.