Ebbene sì, serve un “populismo dal volto umano” che trasformi il senso comune dell’Italia profonda in una nuova proposta di governo maggioritaria.
Lo schema vincente del centrodestra di governo che vinse nel 1994 con la “rivoluzione liberale”, nel 2001 col pragmatismo del “contratto con gli italiani” e nel 2008 con il suicidio dell’ultimo Prodi, deve essere definitivamente archiviato.
La crisi più dura dal 1929 ad oggi ha cambiato i paradigmi della politica, ha impoverito il ceto medio, ha esposto i ceti popolari all’immigrazione incontrollata, ha mostrato i limiti di un progetto europeo fondato sul mercatismo e non su valori e identità.
Per queste ragioni, a tutte le latitudini, le vecchie dicotomie centrodestra-centrosinistra vengono superate, le forze del “populismo identitario” si conquistano uno spazio sempre maggiore mentre le élite popolari-conservatrici-liberali appaiono per lo più incapaci di una lettura originale e in sintonia con le paure e i bisogni mutati del loro elettorato. Dove, come nella Francia di Fillon, la destra gaullista prova a far da argine all’avanzata di Marine Le Pen, lo fa ricorrendo alle primarie e a una piattaforma politica spostata molto più a destra. Chi ha orecchie per intendere intenda.
In Italia negli ultimi anni, la delegittimazione della classe politica, enfatizzata dai principali centri di potere mediatico-finanziario, ha ingenerato tre processi: la crescente disaffezione dalla politica e dal voto, l’imposizione di governi tecnici o delle lobby (Monti-Letta-Renzi) senza legittimazione popolare, l’affermazione del “populismo non identitario” dei Cinque Stelle che ha di fatto congelato o deviato, insieme al non voto, milioni di elettori che in passato votavano a destra. E che oggi disperdono il loro voto verso chi, su immigrazione e valori non negoziabili, rappresenta semplicemente un’altra sinistra.
In questo scenario, va costruita una proposta di governo che non sbiadisca i contenuti identitari ma che abbia la capacità di rassicurare quella parte di italiani che teme il salto nel buio e che ancora non ci percepisce come alternativa credibile a Renzi e a Grillo.
Dobbiamo parlare con più attenzione alla piazza del “non voto” facendo loro capire che, certo avremo anche commesso errori nel passato, ma non sono tutti uguali. Dobbiamo recuperare il “grillismo di destra” spiegando che oggi la vera battaglia non è contro la politica ma per una politica forte contro i poteri forti. Dobbiamo entusiasmare la piazza del Family Day che ha saputo mobilitare milioni di famiglie “normali” contro la dittatura del relativismo. Dobbiamo, ultimo ma non ultimo, ricucire in profondità il rapporto con i ceti produttivi: chi produce ricchezza, crea lavoro in Italia, risparmia per investire e non per speculare è un eroe contemporaneo e deve essere difeso dallo Stato sanguisuga e dall’Europa matrigna.
Con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia siamo impegnati da tempo in questo sforzo e dopo il trionfo referendario con ancora maggiore entusiasmo. La Lega di Matteo Salvini, a maggior ragione se saprà portare fino in fondo il superamento di qualche residua pulsione secessionista, è un alleato fondamentale. Forza Italia ancora una volta dovrà scegliere: potrà contribuire alla costruzione di un nuovo blocco identitario in sintonia con la maggioranza del popolo italiano oppure annacquarsi nella logica delle
larghe intese tanto gradite a Bruxelles.
Noi la nostra scelta l’abbiamo già fatta.
«Populismo dal volto umano»? Quello che meno interessa al popolo di destra sono le formule senza contenuti… e prima di pensare ai contenuti, serve sbarazzarsi degli uomini del passato. Di tutti. Non si tratta solo di una necessità edipica, ma di una tappa obbligata per presentarsi liberi dalle zavorre e dai vincoli che ci hanno condannato ad un avvitamento politico senza uscita. Non abbiamo più bisogno dei colonnelli, i vari Gasparri, Matteoli, Alemanno, La Russa, ma neppure dei loro sodali alla De Corato, Corsaro, Biava, Saltamartini solo per citarne alcuni. Senza un rinnovamento di portata generazionale (e non solo), a nulla serve ragionare su nuove prospettive politiche. Senza una decisa rottura non si va da nessuna parte. Piuttosto, cerchiamo di capire come rompere con la generazione politica che ci ha preceduto e che non solo ha distrutto un patrimonio culturale e umano solido e denso di contenuti ma ha fatto deflagrare un mondo politico che, pur con tutte le sue peculiarità, era e si percepiva monolitico. Dopodiché, non c’è niente di più bello che “scannarsi” sui contenuti. Sul fatto di essere o non essere “allineati e coperti” con la CEI (personalmente sono un ghibellino cattolico, poco allineato), su essere europeista o non europeista, sul fatto di storcere o non storcere il naso di fronte alla penosa fascinazione verso personaggi come Putin o Assad, essere per un economia di mercato oppure a tinte dirigiste, essere per il federalismo o per lo Stato centrale, pro o contro le unioni civili, pro o contro l’immigrazione.
Una volta, vincere le elezioni era la cosa che meno ci interessava, purtroppo abbiamo smesso di pensarlo. Non solo, le vittorie sono diventate un tappeto sotto il quale nascondere i problemi e quando sono ritornate le sconfitte non siamo riusciti a capire perché. Un vecchio slogan congressuale diceva:«Ritorno al futuro». Ne saremo (sarete) capaci? Currenti calamo.