L’”Eurispes”, l’istituto di studi politici, economici e sociali, fondato, presieduto e guidato da Gian Maria Fara, ha presentato il 30° Rapporto Italia con un sottotitolo programmatico: “Alla ricerca della responsabilità perduta. Sistema e Paese come separati in casa”.
Sin dalle prime battute, individuata in “responsabilità” la parola chiave, il sociologo di formazione cattolica ne riconosce e ne denunzia la caduta, “che dai piani alti della società si trasferisce a livello dei singoli soggetti rendendo sempre difficile la tenuta degli stessi rapporti sociali e interpersonali”. “Il Paese – osserva ancora il presidente – si sente deluso, tradito da un Sistema che non riesce più a garantire crescita, stabilità, sicurezza economica, prospettive per il futuro. Lo accusa di essere diventato autoreferenziale e di aver perso di vista la sua storica funzione: quello di guidarlo ed accudirlo, assicurando una sempre migliore qualità dei servizi. E, nello stesso tempo, di aver utilizzato la delega per rafforzare il proprio potere e i propri privilegi, disattendendo attesa, bisogni e diritti”.
L’equilibrio nelle responsabilità, sancito da Fara, è insostenibile, considerato che è stato il Sistema ad allevare il Paese, suscitando e stimolando ambizioni e perché no pretese, senza preoccuparsi di educarlo di fronte ai “cambiamenti epocali” e al rispetto delle norme e delle regole.
Ancora più esplicite ed aperte si fanno le obiezioni sulle prospettive politiche, in cui si predica e si sostiene la linea delle “grandi intese” nel segno fatidico ed ingannevole di un “bene comune”, alla prova dei fatti solo soggettivo.
Non è davvero la contrapposizione indispensabile in un Paese democratico tra maggioranza e minoranza oneste e lineari, ad essere responsabile del “ritardo nell’ammodernamento delle nostre infrastrutture, dei trasporti, del sistema scolastico, della banda larga, dell’informatizzazione del nostro apparato burocratico – amministrativo, della tutela dell’ambiente, del territorio, e tanto altro ancora. Pesa l’ipoteca del debito pubblico”.
Lo studioso sardo avverte una ripresa dovuta alle performances di alcuni settori, senza compiere il parallelo indispensabile con il quadro europeo, ricco di performances maggiori e assai più consistenti e proficue.
Gli esempi recati sui risultati encomiabili si prestano ad osservazioni non superficiali. E’ retorica e, direi, doverosa la lode alle forze di polizia mentre “gli ottimi frutti” nella “nuova politica dei ben culturali”, non sono legati agli effetti delle nomine, vergognose ed umilianti, di esperti stranieri e tanto meno a Franceschini, ma alla ricchezza ineguagliabile del patrimonio artistico, museale e paesaggistico e all’efficacia e all’incisività della capillare propaganda nel settore turistico.
La confusione esistente nel Paese è provocata – sempre a detta di Fara – dalla distinzione tra l’”etica della responsabilità” e l’”etica della convinzione”. La prima rimane, per l’Italia e nell’Italia di questi anni, purtroppo semplice teoria, dal momento che essa “impone la riflessione, il calcolo, la capacità previsionale, il confronto nel rapporto tra mezzi, fini e risultati possibili e, di conseguenza, si rappresenta con il metodo democratico nella scelta delle azioni”.
La seconda rappresenta invece un significativo e centrato flash. E’ infatti possibile negare che oggi la vita pubblica della area geografica, conosciuta con il remoto nome di Italia, è legata, meglio condizionata e subordinata “ad una fede, ad una mera visione di carattere messianico – religioso, interpretata da un capo carismatico, che non può essere messa in discussione se non attraverso un’eresia, con tutte le conseguenze del caso per l’eretico”?