Si stava meglio quando si stava peggio. E’ l’immagine cruda ma reale di ciò che resta della Libia post Gheddafi. I numeri , freddi e solidi, non mentono.
Prima dell’insurrezione — uno sporco war game sponsorizzato dai franco-britannici alle spalle dell’Italia — la Libia era il Paese africano con il Pil pro capite più alto di tutto il Continente (ancora nel 2012 era di 13.200 dollari). Al netto delle stravaganze del defunto rais e delle prebende per i clan “amici”, i libici (solo cinque milioni) vivevano agiatamente grazie ad una massa di immigrati che svolgevano gli incarichi più faticosi (i neri) o impegnativi (europei e cinesi) assicurando un milione e seicentomila barili al giorno di petrolio più gli introiti dell’export di gas. Un miracolo per una terra da sempre (con l’eccezione del breve periodo coloniale italiano) povera e politicamente frantumata e inutile.
Sei anni dopo la caduta di Gheddafi (l’uomo era forse matto ma non scemo e, nemmeno, digiuno d’economia…), il tracollo dell’estrazione petrolifera (meno di 1/4 rispetto al 2010) ha provocato un vero e proprio disastro socio-economico: 1/5 della popolazione libica vive oggi sotto la soglia di povertà. Nel 2014 nessun paese al mondo ha accusato simile un tracollo del Pil: -24 per cento. E se nel 2015 la recessione è stata “solo” del 10,2% anche nel 2016 la contrazione si appresta a sfondare le due cifre posizionandosi tra le peggiori al mondo. Una follia per un paese che vanta le prime riserve di greggio africane e immensi giacimenti di gas.
Ma non è tutto. C’è un tesoro nascosto. Anzi due. Quello ufficiale e quello privato di Gheddafi. Ricchi forzieri pazientemente costruiti negli anni dal diffidente rais e dai suoi uomini di fiducia.
Vediamo il primo, quello ufficiale. Sino al 2010 i surplus derivanti dalle risorse energetiche permisero di costruire notevoli riserve monetarie presso la Banca centrale e creare, nel 2006, un fondo sovrano, il più ricco di tutta l’Africa; la Libyan investment authority (Lia), la piattaforma per i fondi investiti all’estero. “Stranamente”, dopo l’esecuzione (sembra per mano di sicari francesi, frammisti ai ribelli) di Gheddafi, la Banca Centrale della Libia, ufficialmente neutra, ha finanziato senza problemi i due governi rivali di Tripoli e Tobruk; un salasso che ha dimezzato le riserve da 140 miliardi di dollari a 60.
Per la cronaca, entrambi i governi hanno piazzato un loro uomo a capo della Lia: Tripoli ha scelto Abdulmagid Breish, uomo di finanza, con una carriera trascorsa tra banche arabe e istituzioni libiche, mentre Tobruk ha voluto Hassan Bouhadi, un ingegnere che ha lavorato per molte multinazionali occidentali. Al di là della retorica e delle litanie propagandistiche, i due amministratori s’incontrano regolarmente a Malta e vanno d’amore e d’accordo: della serie, non si sa mai chi vincerà e, intanto, noi intaschiamo…
Rimane però una domanda. Non da poco. Dove è finito il tesoro privato di Gheddafi? Sulla ricchezza accumulata dal dittatore poco si sa, ma di certo è immensa. Secondo i due governi libici (per una volta concordi), il gruzzolo ammonterebbe a circa 80 miliardi di dollari, mentre altri parlano di oltre 100 miliardi. Insomma, soldi veri sparsi per il mondo attraverso un reticolo di fiduciarie e di presta nomi compiacenti. Prudentemente Gheddafi avrebbe celato negli anni in posti sicuri (in Africa e in Asia, ma anche in Europa) lingotti d’oro e diamanti per miliardi di dollari. Le chiavi del forziere probabilmente sono nelle mani di Aisha, la figlia prediletta. La bionda signora è da tempo al sicuro in paesi amici (o compiacenti) e si dichiara pronta a riprendere un ruolo politico in una Libia sempre più alla deriva. Di certo, i soldi ad Aisha non mancano. E nemmeno i possibili alleati e soci.