Le due grandi manifestazioni di ieri contro l’immigrazione clandestina (una a Milano, l’altra a Reggio di Calabria) fissano finalmente un punto di discontinuità nel centro-destra. Dopo almeno tre anni di sconfitte, delusioni, faide interne e tristezze assortite, il variegato popolo delle destre disperse ritorna in piazza e ritrova un goccio d’entusiasmo, di fiducia. Forse un futuro. Vedremo.
Qualche considerazione sul presente. Il partito di Giorgia Meloni ha puntato sulla Calabria e il Meridione. La mobilitazione è riuscita e Fratelli d’Italia ha offerto un’immagine dinamica e vincente, affrontando un tema difficile e complesso come l’immigrazione senza sbavature razziste e xenofobe ma con realismo e sano patriottismo. Per di più FdI sembra aver superato la fase dell’indecisione progettuale (uno dei motivi del mancato successo alle Europee) ed ha confermato un solido radicamento territoriale e dimostrato (nonostante la povertà dei mezzi) una buona capacità organizzativa e una dimensione militante seria.
Peccato che questi sforzi importanti (e innegabili) non siano sufficienti per conquistare una adeguata visibilità e quindi una centralità politica. Ancora una volta FdI non riesce a “bucare” i media nazionali: l’importante corteo di Reggio è stato ignorato o quasi dalle televisioni e trascurato dai quotidiani per poi finire fagocitato dall’eco della manifestazione milanese. Perché? Tutta colpa della solita “informazione di regime”, di qualche strambo complotto del quinto potere?
Riteniamo che le risposte siano altre. Accanto alle note mancanze comunicative di FdI (magari affidarsi talvolta a dei professionisti?…), la scelta di Reggio in concomitanza con la manifestazione della Lega a Milano era certamente un azzardo giustificato solo in parte dalle urgenze elettorali calabresi. La perifericità della città sullo Stretto rispetto alla metropoli ambrosiana ha sicuramente penalizzato l’evento ma, soprattutto, è mancato un coordinamento con Salvini (che furbescamente ha preferito glissare su ogni impegno comune con FdI).
Il leader della Lega Nord, ignorando la disponibiltà della Meloni, ha infatti preferito “ballare da solo” e i motivi sono facilmente intuibili. Il giovane segretario deve ancora liquidare le ultime opposizioni interne (i paleo-padani e i veneti), legittimarsi come l’unico vero erede di Bossi e, soprattutto, ipotecare la candidatura a sindaco della sua città. Per l’occasione il Matteo non si è risparmiato: ha mobilitato sul panorama milanese tutto il peso residuale del suo partito e aperto spazi a nuovi apporti come Casa Pound — presente con forte delegazione, ben caratterizzata e organizzata — e ad aggregazioni minori para “destriste”. Una scelta vincente nell’immediato ma di corto respiro.
A nostro avviso il 18 ottobre poteva e doveva trasformarsi in un primo banco di prova per un discorso ben più ampio e importante. La mobilitazione contro la fallimentare gestione dell’operazione “Mare Nostrum” era l’occasione non solo per lanciare una controffensiva tattica contro il governo Renzi ma, soprattutto, per iniziare a delineare una nuova piattaforma politica e culturale su cui costruire un centrodestra definitivamente post-berlusconiano.
In attesa di un prossimo ipotetico appuntamento, un’ultima riflessione. È più che mai necessario — al di là delle tifoserie e degli egoismi di partito, delle bandierine e dei rancori — aprire una fase nuova, credibile e possibilmente vincente. Uno scenario che passa attraverso il terreno delle idee, sulla capacità di forgiare risposte alte alle sfide odierne — la catastrofe dell’immigrazione di massa, la terribile crisi economica e sociale, le minacce geopolitiche — che incombono sul destino del nostro popolo. Un compito pesante che obbliga — piaccia o meno — tutte le forze vive ad interrogarsi, confrontarsi e a superarsi. Non è più tempo di bolle autoreferenziali, di piccole ambizioni, di pensieri brevi.