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Regione Lazio, alla ricerca di una visione (e di una speranza)

di Silvano Moffa
5 Febbraio 2023
in Il punto
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Regione Lazio, alla ricerca di una visione (e di una speranza)
       

Il 12 e 13 febbraio i cittadini del Lazio saranno chiamati ad eleggere il nuovo Presidente della Regione e il nuovo Consiglio. E’ un appuntamento importante, da non disertare. Non foss’altro perché la Regione impiega circa il 70 per cento del suo bilancio per la gestione della sanità e le cose, in questo settore, non vanno affatto bene. Ovviamente, la Regione si occupa anche di altro: dai rifiuti allo sviluppo, dal turismo alla sicurezza, del mare e dei porti, delle infrastrutture, di trasporti, di ambiente, di lavoro, di urbanistica, cultura e di molto altro ancora. Non staremo qui a fare l’elenco delle inadempienze, dei ritardi, delle incongruenze gestionali, della arretratezza della macchina amministrativa e del pesante fardello di una burocrazia fin troppo autoreferenziale, lenta, vero e proprio impaccio per ogni spinta innovativa o, peggio, per ogni progetto degno di nota: una semplice variante, un piano integrato, un programma di recupero o di rigenerazione urbana, una pianificazione strategica.

Negli ultimi dieci anni, complessivamente, la Regione Lazio è scivolata vieppiù verso il basso. Il divario con la Lombardia, che andrà al voto nelle stesse date, si è accentuato. Roma, al pari di tutte le capitali europee, avrebbe dovuto svolgere una funzione trainante, vero e proprio motore di sviluppo in ogni campo. Per essere un unicum tra le capitali europee e non solo, per la sua storia, cultura, per l’immenso giacimento archeologico di cui gode, per la sua stessa dimensione religiosa e la sua centralità umanistica e tecno-scientifica, avrebbe dovuto irradiare energia, sprigionare forza attrattiva, coinvolgente. Invece, è sprofondata nella classifica delle capitali europee. Lontana anni luce da Berlino, Londra, Parigi, Madrid. Quando andiamo a visitare le capitali europee restiamo colpiti dal buon funzionamento delle metropolitane, dalla efficienza delle reti di mobilità, dall’uso delle moderne tecnologie. Lì respiriamo modernità e innovazione, qui frustrazione e rassegnazione. Come se il pendolo della storia si fosse bloccato. Ma è proprio questo il punto. O si rimette in oscillazione il pendolo scandendo una nuova stagione della politica e provocando una inversione di tendenza, o si è destinati all’ulteriore declino. L’invito a non farsi distrarre e a tornare artefici del proprio destino andando a votare per la nostra regione muove da questa preoccupazione.

Uno studio realizzato dal professor Gianfranco Viesti dell’Università di Bari e commissionato dalla Fondazione “Con il Sud” ha denunciato i  ritardi del Mezzogiorno e del Lazio nei confronti del Pnrr. Lo studio in particolare si sofferma sulla scarsità, nel numero e nella qualità, del personale amministrativo chiamato ad elaborare e garantire tempi e modalità di esecuzione dei progetti infrastrutturali e sociali finanziati dal programma europeo Recovery. Nella triste classifica spiccano città importanti e popolose come Latina, Aprilia, Guidonia, Viterbo, Pomezia. Si tratta di criticità che, se non vengono rapidamente risolte, fanno saltare il banco della sola opportunità di rilancio fornita a detti territori. Il rischio di perdere risorse e di un effetto trascinamento sul resto della regione è molto alto. Conseguenza, anche questo, di un approssimativo approccio al tema delle risorse europee e della mancanza di uno più stretto e intenso rapporto con i comuni da parte del livello regionale.

In questi anni, al di là delle narrazioni stucchevoli, dei tagli di nastro per opere incomplete, della delittuosa opera di chiusura e smantellamento della rete ospedaliera pubblica, della pervicace incapacità di varare un piano di gestione dei rifiuti che garantisse la chiusura del ciclo, potenziando la raccolta differenziata e realizzando gli impianti necessari per la produzione di energia e per il riciclo; al di là della mancanza di un sostegno concreto al sistema delle imprese che, nel Lazio, presenta un tessuto spesso (oltre 300 mila imprese) e articolato, con settori di assoluta eccellenza come nel farmaceutico, nello spazio, nell’agroalimentare, nella robotica e nell’intelligenza artificiale; al di là della improvvida dismissione di ogni implementazione delle opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani, incrociando domanda e offerta di lavoro attraverso il costante contatto degli uffici per l’impiego con le aziende, le università e gli istituti tecnici e professionali (Capitale Lavoro, la società costituita dalla Provincia di Roma per questo scopo e, successivamente, transitata in Regione, ha visto snaturare la sua mission); al di là della sconsiderata decisione di abolire l’assessorato alla Cultura nella Regione che ha il più grande patrimonio storico-artistico- culturale del mondo; ecco, al di là di tutto quanto rappresenti la cifra del fallimento di Zingaretti e compagni dopo dieci lunghi anni di governo, a noi pare che ogni segmento, ogni elemento di questo colossale flop possa essere riassunto nella totale mancanza di visione.

“Dove non c’è visione, non c’è speranza”, diceva George Washington Carver, l’agronomo americano diventato famoso per aver insegnato agli ex schiavi, lui che era nato da una famiglia di schiavi del Missouri, le tecniche di agricoltura per l’autosufficienza e per aver mostrato al mondo come dalla coltivazione dell’arachide potesse costruirsi una intera filiera alimentare e produttiva, sfruttando ogni elemento della pianta per la produzione di oli, solventi, resine, diluenti, mangimi e concimi. Una filiera che permane ancor oggi.

Avere una visione, o come dicono gli inglesi una vision, significa avere una direzione, una bussola, un sistema di principi cui ispirarsi. Un fine cui tendere mettendo in campo idee, coraggio, sogni, destinazioni. I cittadini del Lazio hanno bisogno proprio di questo: di qualcuno che li rianimi, che offra risposte concrete, oggi, non in futuro, alle loro domande, ai loro bisogni, alle diffuse criticità. Come? Mettendo la “persona al centro”. In questo slogan adottato da Francesco Rocca, candidato del centro destra, oltre che della lista civica che porta il suo nome, si racchiude il senso di un percorso, di una sfida, di un impegno fuori dal comune. Oserei dire: al di là dello stesso perimetro politico di riferimento del candidato, la cui lunga esperienza ai vertici della Croce Rossa italiana e internazionale, lo pone più in là di quelle ormai usuali e usurate forme di una certa politica politicante di cui la gente è stufa. La differenza con i suoi competitor sta forse proprio in questo, nel poter essere un riferimento non di parte, anche se una parte lo ha scelto, ma di tutti quelli, la stragrande maggioranza, che sognano una regione diversa, una politica diversa, un esempio di come si possa tornare ad ascoltare la gente, a leggere il territorio nelle sue potenzialità e criticità, a mettersi in sintonia con le aspettative della comunità senza deluderla, pur nella consapevolezza delle difficoltà che si incontreranno.

Non si può governare la complessità in genere e la Regione Lazio, nello specifico, se non si adottano prima di tutto misure idonee a superare i limiti di una società frammentata, divisa in gruppi, classi, segmenti e frazioni contrapposte. Partire dalle persone, dalle famiglie, dai corpi intermedi è l’unica strada percorribile per restituire diritti come quello della salute a chi lo ha perso, per affrontare le tante fragilità che angustiano famiglie, anziani, donne e uomini lasciati soli, per garantire dignità al lavoro tramite un’adeguata formazione professionale, per tutelare e valorizzare l’ambiente in cui viviamo, per sviluppare un sistema di imprese che rappresenta l’11 per cento del fatturato nazionale e genera 441 miliardi di ricavi, per sviluppare innovazione e ricerca, per fare del turismo un’industria in costante crescita. E prepararci, così, al Giubileo del 2025 e, ce lo auguriamo, all’Expo del 2030. La sfida è appena cominciata.

Tags: Francesco RoccaRegione Lazio
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