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Home L'Editoriale

Riflessioni (amare) su un mondo alla rovescia

di Eugenio Pasquinucci
3 Agosto 2015
in L'Editoriale
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Riflessioni (amare) su un mondo alla rovescia
       

Erano entrati prima di me, nel negozio di articoli sportivi , gestito dai forse due più giovani imprenditori milanesi. I clienti erano due ragazzi poco meno che trentenni, che si informavano un po’ intimiditi, su degli occhiali da ciclismo. Avevo visto subito che tra loro e i titolari del negozio si stava instaurando un buon rapporto , facilitato dalla scarsa differenza d’anni. Così la conversazione era presto scivolata dai particolari tecnici sulle lenti più adatte per andare in bicicletta, a considerazioni generali sul “dove siete, cosa fate”. Eppure avevo notato una certa reticenza da parte della coppia di giovani clienti, che non davano più di tanto confidenza ai due gestori. Finché uno dei due avventori si lasciò andare e spiegò che erano militari di stanza a Milano, per vigilare sulla sicurezza di Expo. Incalzati dalla curiosità dei loro giovani interlocutori, cominciarono a raccontare che alloggiavano in un campo tendato, con qualche disagio, e che per quanto scrupolosa fosse la loro attività di prevenzione, il timore di saltare improvvisamente per aria fosse una presenza quotidiana. Uno dei due gestori si lasciò scappare un paragone con gli immigrati appena giunti in città, a cui venivano riservati alberghi con qualche stella e alcuni non trascurabili benefit . Era evidente la benevola provocazione, si capiva che i militari concordavano con l’osservazione, ma da buoni soldati cercarono di non approfondire la polemica. Si congedarono un po’impacciati, come se fossero pentiti di aver “parlato troppo”.

Mi recai in visita domiciliare da un mio anziano paziente, un imprenditore, reduce da un infarto solo pochi giorni prima. Si sentiva spossato perché , contrariamente ad ogni consiglio, aveva ostinatamente voluto andare al lavoro, per la responsabilità che riteneva di avere nei confronti dei suoi dipendenti, un centinaio. Gli chiesi perché non mollava tutto, alla sua età, e pensava per primo a stesso. Mi rispose che era ancora troppo importante la sua presenza : inoltre lo Stato doveva alla sua azienda qualche milione di euro. Da mesi il suo era un continuo peregrinare da un ufficio all’altro a chiedere il rimborso di quanto dovuto. Ma quando è lo Stato debitore, tutto è permesso, se un cittadino sgarra di qualche migliaio di euro, per non dire di meno, allora le istituzioni si avventano sul malcapitato. “Tutti parlano di Schettino, ma il governo Monti ha fatto più vittime, con la sua politica fiscale !” si sfogò, alludendo all’epidemia di suicidi durante il governo del professore bocconiano. Guardavo questo paziente, avvilito, stanco, ma ancora reattivo, che metteva a repentaglio la sua vita per senso di responsabilità, per un richiamo al dovere che non lo lasciava mai, per i suoi operai. Inevitabile mi venne il confronto con i molti scioperanti di quei giorni, che avevano sì tante ragioni ma nessun senso di appartenenza ad una più grande comunità, e nessun rispetto nei confronti delle vittime delle loro azioni sindacali.

Tornato a casa pensavo alla concezione di Stato su cui si è dibattuto per decenni. Da una parte c’erano i lavoratori , i buoni; dall’altra, i cattivi , i “padroni”, sopra a tutti lo Stato. C’erano i compagni che sognavano uno Stato che pensasse a tutto, che entrasse nella vita e nelle coscienze di ognuno, che desse a ciascuno secondo le sue necessità, conformando ed appiattendo tutto, in un totalitarismo opprimente.

C’erano i democristiani che si accontentavano di uno Stato nutrice, che elargiva qualcosa, non tutto, in cambio di voti; con gli enti parastatali, come le Poste, trovava lavoro a tanti “borderline”, incapaci di farsi avanti nella vita e garantiva loro un posto sicuro. Quelli che oggi chiamiamo ammortizzatori sociali.

C’era la destra che ipotizzava lo Stato etico, radicato nei valori, ma lasciava il tutto indefinito in elucubrazioni paraideologiche. Comunque sia, lo Stato era il punto di riferimento, il perno di tutto.

Oggi assistiamo allo spettacolo miserevole di uno Stato cialtrone, talvolta predone. Uno Stato che ancora concede molto, ma solo perché agisce sfruttando i suoi più devoti servitori. Questo accade con i militari umiliati nelle tende, con gli imprenditori schiacciati dagli oneri fiscali, con il personale ospedaliero costretto a lavorare ovunque in carenze d’organico ormai cronico, per risparmiare, salvo poi addossare le responsabilità degli sprechi della sanità alla medicina difensiva. Accade con gli insegnanti , costretti ad elemosinare ad i genitori degli alunni quei pochi spiccioli per il materiale didattico, salvo poi aggredire le scuole paritarie, che fanno il loro dovere e d anche più , sopperendo alle carenze della scuola pubblica. Accade con le forze dell’ordine malpagate che con grandi rischi arrestano il malvivente che, poche ore dopo, rilasciato da un magistrato ideologizzato, vedranno ,mani in tasca, passeggiare per la strada. Accade in tante altre attività , ma lo Stato, creatura della politica, non si vergogna.

Un mondo alla rovescia dove si penalizza il meritevole, si premia il prepotente.

Tags: expo 2015lavoroStato
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