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Home L'Editoriale

Riflettendo sulla provocazione di Cardini su immigrati, lega e destristi

di Marco Valle
13 Agosto 2015
in L'Editoriale
3
Riflettendo sulla provocazione di Cardini su immigrati, lega e destristi
       

Forte e importante la provocazione di Franco Cardini editata ieri da “Barbadillo” — l’ottimo laboratorio on line diretto da una bella intelligenza come Michele De Feudis — sulla questione immigrazione e dintorni. E densa e problematica la risposta del bravo Adriano Scianca su “Il Primato nazionale”. Finalmente un po’ d’aria fresca.

Partiamo dalla notizia. Il professore — da buon ”maledetto” toscano — ha sciabolato con raffinata crudeltà, infilzando leghisti e destristi, buonisti e xenofobi. Con qualche sconto (a Papa Francesco e ai suoi pretoni…), qualche cattiveria e alcune dimenticanze.

Andiamo per ordine. Il grande storico ha asfaltato senza fatica la coppia Salvini&Calderoli e il loro armamentario. Non era difficile ma lo sforzo, alla fine, risulta abbastanza inutile. Con buona pace dei neo “leghisti immaginari”, i padanisti sono rumorosi, a volte simpaticamente provocatori ma rimangono legati al primitivismo politico delle origini. Matteo Salvini è un ottimo professionista, un abile tattico, uno spregiudicato mattatore mediatico, un lettore vorace ma nulla di più. La Lega è uno strumento talvolta micidiale sui tempi brevi ma è incapace di pensieri lunghi, di costruzioni articolate, di progetti storici.

Come narra la loro vicenda, ogni volta che i seguaci dell’improbabile dio Po si sono avvicinati al mondo della cultura sono andati in corto circuito. Inevitabile. La realtà leghista è una tavolozza di interessi localistici, proteste fiscali (sacrosante…), battaglie settoriali, anti europeismo urlato e, soprattutto, tante furibonde liti interne per la primizia. Non basta una spruzzata d’antirisorgimentalismo (Papi re, principini, duchi e granduchi sono merce scaduta…) o qualche appello al federalismo (un fallimento completo) e neppure una rilettura incompleta e monca di autori eretici come de Benoist, per convincere e governare una nazione complessa come l’Italia. Gli orizzonti padani si limitano forzatamente alla critica (giustificata) alla burocrazia di Roma e Bruxelles e all’invocazione della “santa ruspa” come risposta all’invasione. Nulla di più, nulla di meno.

Diverso il discorso sulla destra politica. Qui Cardini coglie in pieno. Ha ragione il professore quando guarda sconsolato «il vecchio MSI, eutanasizzato una ventina di anni fa, metabolizzato in Alleanza Nazionale, quindi vampirizzato dal vecchio Berluska, poi quasi rinato dalle sue ceneri con i Fratelli d’Italia ma che ormai dalla Lega si lascia trascinare più o meno vivacchiando: ed è un vero peccato, in fondo, perché Giorgia Meloni, per esempio, è una che la politica la fa seriamente e decorosamente, e come leader sarebbe molto più presentabile di altri. Ma tant’è: forse non urla e non minaccia abbastanza».

Tutto giusto, o quasi. Il problema non è urlare e minacciare, ma ragionare. Per poi, analizzare, studiare, riflettere e, infine, fare sintesi e progetto. Il problema è immaginare un partito non come una somma di comitati elettorali ma bensì come un’intelligenza organizzata capace di pensieri lunghi, di “grande politica”.

Davanti ad eventi centrali e tragici come la catastrofe umanitaria del Mediterraneo, il tracollo del Medio Oriente, l’implosione dell’Africa, la persecuzione dei cristiani,  una forza politica seria ha il dovere d’interrogarsi e interrogare e delineare un’ipotesi di lavoro. Per poi, con pazienza e determinazione, cercare di coinvolgere analisti, esperti, operatori — penso, ad esempio, allo stesso Franco Cardini e poi a Sergio Romano, al Nodo di Gordio, alle riviste di geopolitica, ai settori sani del volontariato, ai rappresentanti onesti dei profughi veri  — e, assieme a loro, costruire un piano alternativo e credibile. Senza buonismo, con responsabilità. 

Punti di partenza ed esperienze positive — Cardini dovrebbe ricordarlo…— a cui ricollegarsi (superandole e aggiornandole) vi sono. Penso agli anni Ottanta, ai convegni del FdG milanese, romano e siciliano sul Mediterraneo, alla festa di Siracusa imperniata sul confronto Nord Sud, agli scritti di Pino Rauti e Beppe Niccolai, al lavorio profondo della Nuova Destra italiana e francese. Allora tentammo, con curiosità e qualche ingenuità, una riflessione sui motivi profondi di un sommovimento epocale già annunciato. Basta leggere.

Purtroppo nulla sembra muoversi a destra. La goffa polemica su Pietrangelo Buttafuoco, la subalternità a ritmi alternati al leghismo più becero, l’attenzione inutile ai sondaggi farlocchi di Libero, l’occidentalismo più ottuso, l’islamofobia più stupida, lo confermano.

Nonostante le tempeste di fuoco sempre più vicine, sul versante destroso nulla sembra esser cambiato dai tempi della guerra del Golfo, quando gli imbecilli applaudivano — confondendo panarabismo con fondamentalismo e altri fattori per loro troppo difficili da capire… — i bombardamenti sull’Iraq laico di Saddam. Sono gli stessi, invecchiati, che hanno condannato la Siria multireligiosa e multiculturale e inneggiato alla caduta di Gheddafi.

Ancora una volta il “piccolo mondo antico” preferisce seguire l’onda, piuttosto che affrontare il grande mare della storia. Risultato: ruspette e fiammette tricolori. Poca roba.

Tags: Adriano SciancaAfricaBarbadilloFranco CardiniFronte della Gioventùimmigrazione clandestinaMedio OrienteMediterraneoNodo di Gordio
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Commenti 3

  1. Pupi says:
    8 anni fa

    Che bisogna reinserire urgentemente la questione della scuola nel l’agenda della destra: forte rilancio dell’istruzione classica. Serietà, rigore, far fuori informatica e televisione dalle aule, ridurre il numero degli alunni per classe, inserire gli immigrati dopo un percorso di integrazione, evitare quiz, crocette, americanizzazione del sapere. Ci siete?

    Rispondi
    • Marco Valle says:
      8 anni fa

      Ci siamo! Una caro saluto

      Rispondi
  2. Antonio de Felip says:
    8 anni fa

    Caro Marco
    Cardini, per la sua storia e il suo pensiero, va ascoltato sempre con rispetto. Tuttavia, c’è un punto implicito del suo discorso che, da cattolico, mi sento di contestare, ovverossia che “accogliere gli immigrati” sia un “atto di carità”. Insomma, il pensiero di Galantino e di alcuni (non certo tutti) presuli. Il Cardinal Biffi e Monsignor Maggiolini non sarebbero stati certamente d’accordo, come non sarebbe d’accordo quel vescovo siro-cattolico che riferì, inascoltato, la frase di quell’imam: “con le vostre leggi democratiche vi invaderemo, con le nostre leggi islamiche vi sottometteremo”.
    L’accoglienza indiscriminata non è carità. Sbagliano questi prelati a contrabbandarla come tale. E’ un grave, gravissimo errore dottrinario (se non peggio, teologico): accogliere gli invasori non è affatto un atto di carità. Costoro non sono “invasori pacifici”, che è comunque un ossimoro. Lo dimostrano la loro arroganza, la loro violenza, le loro pretese, il loro astio dimostrato in tutti i modi nei confronti della nostra cultura. A costoro non è applicabile l’abusato detto evangelico “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,31-46). Qui non si tratta di singoli, ma di masse ostili e arroganti che, da Kos a Ventimiglia, da Ceuta a Calais, attaccano la polizia, occupano case, alimentano la criminalità. Non è “carità” accogliere indiscriminatamente chi viene, nella migliore delle ipotesi, per approfittare del nostro generoso welfare e, nella peggiore e più probabile, per distruggerci. La posizione immigrazionista di alcuni prelati è una delle tristi eredità del concilio, del suo ecumenismo, del suo buonismo. L’accoglienza indiscriminata è tutto: viltà, insipienza, malafede mondialista che vuole un docile meticciato universale, speranza di alcuni di un “nuovo proletariato”. Ma non è carità. Non è carità mettere in pericolo la nostra identità etnica, culturale, storica, religiosa, civile. Non è carità minare la nostra sicurezza, minacciare i ceti più deboli della nostra società, anziani e poveri, depauperare il nostro già debole welfare.
    Compito dei pastori cattolici è quello di tener lontani i lupi dall’ovile, non quello di spalancarne le porte. Invece, è quello che sta avvenendo. Papa Leone I non “accolse” Attila, ma lo fermò. Lo stesso avvenne a Poitiers, a Lepanto, a Vienna.
    Non solo non è carità, ma l’accoglienza indiscriminata è contraria alla giustizia: lo rileva persino un organo cattolico prudentissimo, para-conservatore, papistissimo come “Il Timone”: “Una vera accoglienza poi non può essere in contraddizione con la giustizia, che è molto di più che non la semplice obbedienza alle leggi. Chi arriva in modo irregolare, certamente ha diritto a essere comunque rispettato come persona, quindi soccorso e assistito per quel che c’è bisogno, ma non è giusto che resti in un paese se non ha alcun titolo per restarci” (Riccardo Cascioli, il Timone, giugno 2015, pag. 19).
    L’immigrazionismo di parte della Chiesa (non tutta, per fortuna) è quindi un errore dottrinario, teologico e pastorale, prima ancora che politico. E’ bene che i cattolici lo sappiano.

    Rispondi

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